24/08/2017

Aborto: quando a soffrire per il figlio ucciso è lui

Nel sentire comune si ritiene che l’aborto sia una questione solo ed esclusivamente in capo alle donne, che hanno il potere di decidere in autonomia sul proprio corpo e su quello del figlio che portano in grembo.

Naturalmente è evidente che avere un figlio si traduce in maniera diversa per una donna rispetto che per un uomo: è lei che è chiamata a fare spazio fin da subito, a donare parte del proprio corpo alla piccola creatura in arrivo. Ma il figlio è anche di quell’uomo che è padre fin da subito, tanto quanto la madre: anche lui è parte in causa in questa nuova vita, e parte determinante.

Purtroppo si fatica ancora molto a comprendere il ruolo dell’uomo nell’aborto. Non solo rispetto al diritto che egli ha di dire la propria opinione sulla vita o sulla morte del bambino, ma anche per quanto riguarda il dolore che la morte del figlio nel grembo materno (per aborto volontario, ma anche spontaneo) può provocare nel padre.

In tal senso, una testimonianza molto toccante è stata pubblicata sul blog La27esimaOra, che di certo non si contraddistingue per le sue battaglie prolife, ma al quale va il merito – almeno in questa occasione – di aver dato spazio in maniera onesta a un tema molto delicato e controverso.

La lettera di Jaco a La27esimaOra

Nell’ambito di una discussione inerente l’aborto, La27esimaOra ha ritenuto di pubblicare la lettere di Jaco, un uomo di quarant’anni che oltre dieci anni fa ha visto uccidere suo figlio, e che ancora soffre per questo.

Scrive parole intense, Jaco, come quelle che forse solo un papà (e una mamma!) sa pronunciare.

La storia è abbastanza comune al giorno d’oggi: Jaco ha una relazione con una ragazza con la quale crede di stare costruendo qualcosa di serio, nonostante tra loro parlassero raramente di formare una famiglia, anche per via del fatto che lei pareva non potere avere figli.

La coppia era sessualmente attiva e un giorno lei scoprì di essere incinta: «È stata una doccia fredda, credo. Per me di certo: non solo me lo disse in modo brusco, diretto, senza tatto (ricordo ancora le parole: “Sembra che sia incinta”) ma non volle nemmeno discuterne. Sottolineò subito che “potrei perderlo, se non succede abortirò all’ospedale”. Frasi che ancora oggi, più di dieci anni dopo, ricordo perfettamente. Come ricordo che era così sicura della sua scelta da continuare la vita di prima, bevendo e fumando. Io però non ero d’accordo. Io, quel figlio, lo volevo. Al punto che le proposi di portare avanti la gravidanza, di partorirlo e non riconoscerlo: l’avrei fatto io e lo avrei tenuto con me».

Questo grido di padre non è servito a nulla. La ragazza ha abortito, e due mesi dopo lei e Jaco si sono lasciati.

«Oggi – scrive ancora l’uomo – se mi guardo indietro non ho nessun rimpianto nei confronti di lei. Ma lui, il mio bimbo mancato, lo sogno spesso. Immagino come sarebbe stato, che rapporto avremmo avuto io e lui. Gli ho anche dato un nome: Alessandro. Oggi ho 40 anni e con la mia fidanzata presto proveremo ad avere un bimbo. Ma non lo chiamerò Alessandro: per me, lui resterà sempre il figlio che non ho avuto».

L’aborto: coinvolge un bimbo, una mamma, un papà... e molte altre persone

L’aborto non è un fatto solo ed esclusivamente femminile, sono tanti altri gli attori chiamati in causa.

Innanzitutto c’è lui, il bambino, che per il solo fatto che non può gridare e far sentire la propria voce viene spesso dimenticato e declassato al rango di “grumo di cellule”... stiamo parlando di un essere umano unico e irripetibile, che non avrà mai più uguali sulla terra. Mai.

C’è poi il padre, come abbiamo visto. Per fare un figlio servono due persone, rigorosamente un uomo e una donna: la donna da sola non potrebbe fare nulla, e viceversa. Anche solo da questa evidenza è chiaro come la responsabilità di un figlio sia equamente divisa tra le parti che, in caso, dovrebbero parlarsi prima del concepimento per mettere in chiaro il punto di vista di ognuno.

Accanto a mamma, papà e figlio vi sono poi i parenti più stretti (in particolare i fratellini – che capiscono e sentono tutto! – e i nonni) e tutte le persone che, in maniera più o meno diretta e per motivi differenti, entrano in contatto con il bambino che s’intente abortire: infermieri, medici, amici, etc...

Infine, l’aborto ha una ricaduta sulla società. E questo sia perché una nazione che uccide i propri figli è una nazione che uccide la propria anima, sia perché – consentendo l’aborto – ci si priva deliberatamente di persone che avrebbero giocato un ruolo unico e irripetibile per la collettività.

L’aborto è morte. E la morte non genera altro che morte. 

Teresa Moro

Fonte: La27esimaOra


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