13/10/2018

Aiutare la vita “a lungo termine”: la sfida della Lifehouse

Quando una nuova vita si affaccia al mondo e il suo arrivo non era pianificato e/o desiderato, vi sono diversi problemi cui fare fronte.

Il primo, e più immediato, è quello di aiutare la donna a scegliere per la vita, e non farsi tentare dall’aborto.

Il secondo problema è poi quello di aiutare la donna a vivere la sua maternità sotto il profilo materiale: ecco quindi gli aiuti economici, ma anche l’accoglienza in appositi alloggi. Interventi che spesso hanno durata abbastanza breve, giusto qualche mese.

La sfida di Joan Smith (a destra nella foto in evidenza) è invece diversa. Fondatrice e direttrice della Lifehouse Maternity Home a Louisville, nel Kentucky, ma anche di due realtà pro life in Indiana, la St. Elizabeth’s Regional Maternity Home e Il villaggio per bambini dell’Arca di Noè, Smith ha ideato un sistema per supportare le mamme per un periodo di tempo che a fino a quattro anni. Perché è vero che va salvato un bambino, ma va anche salvata una donna dal trauma dell’aborto e dall’abbandono.

Afferma la donna su National right to life: «Le donne possono rimanere con noi per un massimo di quattro anni. Spesso hanno bisogno di qualcosa che vada oltre una “soluzione momentanea”. È possibile accompagnarle durante la gravidanza e possono avere il loro bambino, ma questo è l’inizio di un nuovo problema, di una serie di problemi completamente nuovi. Se diventeranno madri di quel bambino o se lo daranno in adozione, queste donne hanno generalmente bisogno di un enorme sostegno per un lungo periodo di tempo».

Naturalmente tutto questo ha costi elevati, ma il fine per cui lo si fa ripaga per gli sforzi. Vedere una donna che accoglie la vita, un bambino crescere, un futuro che si costruisce... sono cose per le quali vale la pena lottare.

«Dare potere alle donne di essere autosufficienti avviene in vari modi, tra i quali: l’istruzione, un’occupazione, lo sviluppo spirituale, la capacità di risparmuiare e di far quadrare il bilancio, l’impegno in attività positive. Tutto questo è quanto viene richiesto a chi risiede nelle case».

Oltre a questo, poi, «le donne devono seguire le regole della casa, un requisito che allontana molte potenziali residenti»: solo 1 chiamata ogni 41 si trasforma in un effettivo ingresso negli alloggi. Ad oggi, ad ogni modo, sono già 82 le donne (con i loro bambini) che Lifehouse ha aiutato nei suoi primi dieci anni di attività.

Il servizio che la Smith ha messo in campo, oltre a essere raro per la durata temporale, è virtuoso anche perché propone una visione olistica della donna, che viene aiutata in vari ambiti della vita: sotto il profilo fisico, spirituale, emotivo e intellettuale: nulla viene tralasciato, nell’ottica che più una donna è matura e serena, più potrà stare accanto in maniera consona al proprio bambino e reagire alle prove della vita.

Lifehouse è un’attività che, pur nella sua semplicità, è impegnativa. Ma che è necessaria e che sarebbe quindi bello fosse esportata anche in altre zone: la cultura della vita si nutre anche di questo.

Teresa Moro

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