12/10/2018

Antonella Elia e quell’aborto a 26 anni: «Mi sento incompleta»

L’aborto torna a occupare la scena mediatica, anche se questa volta in modo differente. A sollevare l’attenzione su questo tema è infatti la confessione di Antonella Elia, volto della televisione italiana, che tra le altre cose è stata valletta di Mike Bongiorno a La ruota della fortuna e ha partecipato all‘Isola dei Famosi.

Dietro al fisico che gli italiani hanno quindi imparato a riconoscere, c’è tuttavia la storia di vita di una donna che non ce l’ha avuta sempre facile, anzi. A dirlo è la stessa Elia in un’intervista rilasciata a Chi e ripresa da diverse testate, parlando per la prima volta dell’aborto che ha avuto a 26 anni e che ancora la fa vivere con un forte rimorso.

Afferma la donna: «Ho abortito quando avevo 26 anni e non ne ho mai parlato, è ora di liberarmi di questo peso. All’epoca, non volevo crescere un bimbo con un uomo con cui non avrei mai costruito nulla. Volevo essere libera e ora quella voglia di libertà mi si è ritorta contro».

La famosa autodeterminazione, la libertà di fare del proprio corpo quello che si vuole (ignorando che il bambino vive nel corpo della donna, ma è altro da quel corpo), evidentemente è un mito che non regge alla prova dei fatti, ossia che l’aborto è l’uccisione del proprio bambino.

Questo avviene perché l’istinto materno è custodito nelle parti più arcaiche del cervello di ogni donna e non risponde (solamente) a un moto della volontà: l’aborto va a intaccare bruscamente tutto questo. Si pensi banalmente ai cambiamenti che avvengono durante la gravidanza: solo per citare le due variabili più diffuse, le donne incinte vivono un aumento dell’emozionalità (la cosiddetta “lacrima facile”) e i loro sensi (soprattutto l’olfatto) si acuiscono. Come mai avviene tutto questo? Al di là della motivazione fisica che ne è alla base (l’azione degli ormoni), queste modificazioni preparano la donna a entrare in sintonia con il bambino che nascerà, aumentando la sua empatia e permettendole di immedesimarsi maggiormente in quello che sarà il sentito del bambino. Invenzioni? Chiedetelo a una donna incinta, che magari vomita anche solo perché al supermercato sente un odore particolare e che fino a qualche settimana prima non le avrebbe dato alcun fastidio.

Afferma ancora Elia: «In amore non sono stata fortunata, ora rimpiango quel bimbo che scelsi di non avere, mi sento incompleta e questa solitudine fa malissimo anche solo a pensarci. Ormai, alla soglia dei 55 anni, il pubblico è la mia vera famiglia».

L’aborto non è mai una buona soluzione, né per il nascituro, né per la donna. E la sindrome post aborto, a livello psicologico, può emergere anche anni dopo, magari per un evento incrociatore, come può essere la menopausa (e dunque la consapevolezza di non poter avere altri figli).

È vero, essere madri è un vero e proprio salto nel vuoto, di certo non è facile e sarebbe bello che fosse frutto di un’apertura alla vita ragionata e maturata nella coppia. Non sempre questo avviene, talvolta una gravidanza capita al momento sbagliato e con la persona sbagliata, ma questo non annulla la responsabilità che ognuno dovrebbe avere rispetto alle proprie azioni (che colpa ne ha il bambino?), così come il fatto che la vita umana non è disponibile, anche se abita nel nostro corpo. E, se proprio si ritiene di non poter crescere quel figlio, si può sempre partorire in anonimato e darlo in adozione: il bambino vivrà una vita serena e la donna che lo ha partorito non vivrà con il rimorso di averlo ucciso.

Teresa Moro

Fonte, anche per la foto in evidenza: Il Messaggero

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