01/08/2019

Carrara, opera sull’aborto suscita polemiche. La verità fa male?

Quanto scandalo può suscitare oggi la difesa della vita, attraverso la cultura e dunque anche l’arte che ne è un’importante espressione? A quanto pare così tanto da generare le stesse infinite polemiche che in questi giorni impazzano intorno ad un’installazione artistica esposta a Torano, piccolo paese in provincia di Carrara. Qui, fino al 13 agosto, è in corso una rassegna d’arte contemporanea (Torano Notte e Giorno) che comprende spettacoli, salotti letterari, musica dal vivo, cinema per bambini e che ogni anno è un polo di attrazione fortissimo per i tanti visitatori, vicini e lontani che affollano il borgo.

Quest’anno l’evento sta facendo particolarmente parlare di sé, a causa di “Aborto? No, voglio sopravvivere” di Michele Monfroni, un’installazione con cui l’artista interpreta, ovviamente in modo del tutto personale, il tema della mostra: la sopravvivenza. L’opera è costituita da una scultura che rappresenta una donna incinta con un membro maschile (che indica che anche l’uomo partecipa alla fecondazione) e un oblò sul ventre da cui si intravede un feto. Sotto gli occhi della donna c’è un graffio rosso che vorrebbe forse indicare una violenza sessuale, mentre davanti a lei, sono collocate cinque teche di vetro che contengono le varie fasi della crescita di un embrione e il dilemma umano e probabilmente anche spirituale, incarnato dalla croce, di fronte all’utilizzo della pillola del giorno dopo.

Una rappresentazione del dramma dell’aborto che sta suscitando varie polemiche perché, per alcuni, intenderebbe mettere in discussione il diritto all’“autodeterminazione” della donna (ovvero la possibilità di uccidere il bambino che porta in grembo) nonostante l’artista si sforzi di esprimere una posizione “neutrale” a riguardo: «La vita nasce fin dal concepimento, vedi la cellula della seconda teca che poi va avanti con il formarsi degli embrioni, terza e quarta teca; nell’ultima teca c’è la croce, perché la Chiesa è contraria all’aborto, e poi vi è la ‘pillola del giorno dopo’, la RU486 che è possibile prendere nella prima settimana. Questo è un percorso, e a maggior ragione la donna decide. Il membro maschile è presente perché l’uomo è partecipe nel fecondare, e assistere. Io sono per la libertà di scelta, non sono pro o contro, so che è una decisione molto difficile da prendere. Non mi sono schierato ho solo dato sfogo alla mia immaginazione artistica. La scultura è senza braccia perché la donna è a volte impotente o in difficoltà e non può agire. Il bambino in pancia che guarda il mondo in apprensione, lui non può prendere decisione, vuole sopravvivere. So che ogni vita è preziosa, voglio sopravvivere, voglio venire al mondo, la decisione è fondamentale”.

E invece noi, a differenza dell’artista, ci schieriamo e lo facciamo a favore della realtà: basta infatti guardare l’opera per riconoscere con un semplice sguardo d’insieme che quello che la donna ha in grembo è un bambino a tutti gli effetti e dunque la scelta non si configura più come tale.

Si può discutere sul gusto dell’opera, ma ciò che essa mostra è una cosa sola: che il soggetto dell’installazione non è unicamente la donna ma sono due individui che hanno entrambi diritto di vivere, che nessuno può arrogarsi di impugnare. Che piaccia o no questa è la realtà e se suscita tante polemiche è perché probabilmente si tratta di una realtà scomoda e, si sa, la verità a volte può far male.

Manuela Antonacci

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