15/12/2017

Costanza Miriano a 360 gradi su donne, maternità e aborto

Presa tra la gestione dei quattro figli, i consigli di classe, le udienze, il lavoro, le presentazioni del suo ultimo libro Si salvi chi vuole e qualche corsetta, Costanza Miriano non è certo una persona che possa vantare del tempo libero. Eppure, tra tutto, ha trovato un momento per una chiacchierata telefonica sulle donne, la maternità e il grande genocidio del nostro tempo, l’aborto. Un colloquio sincero, aperto... da donna, per le donne.

Costanza, la donna ha insite nelle proprie corde la vocazione alla maternità, sia essa fisica o spirituale. Tuttavia oggi vediamo come questa propensione naturale sia sempre più spesso negata dalle donne stesse, in favore della carriera, della realizzazione personale, dell’edonismo... salvo poi scoprirsi “mancanti” di qualcosa a quaranta o cinquant’anni, quando l’orologio biologico ha ormai fatto il suo tempo.

Questo è il grande inganno del nostro tempo. Ed è un inganno non solo per la crisi demografia che ne deriva: si tratta di una vera e propria crisi sociale, perché ci sono sempre meno donne capaci di dare la vita.

Siamo vittime di una catechesi continua e martellante, che ha grandi collaboratori a tanti livelli, e che ripete continuamente alle donne di non mettersi a servizio della vita. Per esempio, ne parlavo proprio ieri con mio marito, anche nel cartone Cars 3 hanno inserito un pilota femmina, per veicolare il messaggio che la donna deve fare carriera per realizzarsi.

Le bambine crescono dunque con un doppio messaggio: da un lato devono essere belle e curate nell’aspetto, dall’altra è necessario che siano vincenti e aggressive.

Mi sembra quindi di poter dire che oggi la donna è schiava di innumerevoli richieste e pretese: la “liberazione” della donna tanto ventilata dalle femministe si è rivelata una bugia. Oggi dobbiamo essere sempre perfette, e gli stati d’animo medi di tutte noi sono l’inadeguatezza e il senso di colpa.

Si tratta, come dicevo, di un messaggio culturale che filtra in moltissimi modi e che agisce nel profondo. Un messaggio che andrebbe anche bene, se le donne fossero felici; ma il punto è che negando la vocazione alla maternità, prima o dopo, tutte le donne scoprono che manca loro qualcosa e sfogano il loro desiderio in altro modo (diventando animaliste, oppure aggressive sul lavoro, etc...).

Come si può combattere questo stato di cose?

Innanzitutto, e penso alle mie figlie, cercando di vivere in modo coerente: per me la famiglia e i figli sono al primo posto, e loro lo sanno. E poi cercando di proporre alle bambine modelli diversi, esaltandone le qualità femminili.

I figli: nei tuoi scritti emerge una Costanza “prima” e una Costanza “dopo” i figli. Qual è l’aspetto che più ti ha plasmata, dell’avventura della maternità?

I miei figli mi hanno educata moltissimo. Naturalmente io spero di riuscire a fare lo stesso con loro, ma è certo che loro mi hanno insegnato innanzitutto l’obbedienza alla realtà (ad esempio nel rispettare gli orari, o nell’avere un’alimentazione sana). Da giovane, infatti, pur riuscendo sempre a portare avanti gli impegni con buoni risultati, sono sempre stata un po’ anarchica ed estrema nelle cose che facevo: i figli invece mi hanno costretta – e mi costringono! – a essere una persona normale, almeno per loro. Una persona seria e feconda, che non perde tempo.

Se penso a me, alla mia età, senza figli, non ho dubbi – solo per fare un esempio – che starei tutto il giorno sui social. L’obbedienza alla realtà invece mi salva.

Come avete, te e tuo marito, maturato e vissuto il vostro essere “famiglia numerosa”?

Abbiamo mantenuto sempre un’apertura alla vita, utilizzando i metodi naturali, e sono contenta che la nostra famiglia sia numerosa.

Una cosa mi preme però sottolinearla, perché vedo che spesso i cattolici cadono in logiche perverse: quello che conta di più, in ogni caso, non è il numero dei figli... e, nel dire questo, penso alle tante amiche cui non vengono o che ne hanno avuti, ma poi non sono più riuscite a concepirne altri. Quello che conta di più è mantenere il cuore aperto affinché i figli possano arrivare: non mettere barriere od ostacoli – fisici o, appunto, nel cuore – al volere di Dio. Mettersi a disposizione, poi il Signore sa quali sono le energie di ognuno e nulla succede per caso. Bisogna capire dalle circostanze della realtà quali sono i progetti cui si è chiamate.

Legato ai temi della maternità e della natalità, c’è il grande genocidio dei tempi moderni: l’aborto. ProVita Onlus, in comunione con diverse altre realtà, ha recentemente lanciato una petizione “Per le donne, perché siano davvero informate sull’aborto” (qui per firmare). Lo scopo è quello di fare in modo che le gravi conseguenze fisiche e psicologiche che scaturiscono da un aborto volontario siano diffuse in maniera capillare. L’aborto uccide un bambino e ferisce gravemente una donna... condividi questo appello?

Conosco tante persone, anche amiche, che sono passate dall’aborto.

Condivido profondamente la mancanza d’informazione su questo tema, perché credo che non ci sia una donna al mondo che – informata, aiutata e accompagnata – ceda all’aborto o che, se potesse tornare indietro, sceglierebbe nuovamente per esso.

La maternità è scritta nel cuore della donna e, se c’è attorno una rete, nessuna donna vi rinuncia. Invece, molte donne che conosco e che hanno abortito hanno avuto come prima opzione offerta l’uccisione del loro bambino, senza che venisse loro proposta un’altra forma di aiuto. Io stessa, quando a 27 anni sono rimasta incinta del mio primo figlio, mi sono sentita dire dalla ginecologa che avevo contattato che dovevo andare da lei presto, così se c’erano malformazioni si poteva trovare una “soluzione”...

Invece la realtà ci dice che nel momento stesso in cui si concepisce un figlio si diventa madre. E anche se si abortisce, non è che non si è più madri: si è semplicemente una madre che ha ucciso.

Quando si parla di aborto nessuno parla delle gravi conseguenze psicologiche e dei danni sul fisico: il corpo sa che c’era un bambino, si era preparato per accoglierlo... se il processo viene interrotto, come si può pensare che non vi siano conseguenze?

Come può una donna arrivare a uccidere il frutto del suo seno?

Secondo me qui l’informazione, il lavoro culturale, fa tantissimo. E quindi ben venga la petizione per informare le donne sui rischi dell’aborto volontario.

Le donne che hanno usufruito della legge 194 negli anni Ottanta, appena era stata approvata, hanno vissuto questa apertura all’aborto come un rito di passaggio, di emancipazione, senza probabilmente rendersi conto di quanto stavano facendo... ma poi hanno sofferto tutta la vita. Sono state vittime.

Anche le donne più giovani, comunque, sono vittime della mancanza di informazioni e della mancanza di aiuto o di proposte alternative all’aborto. Su questo punto la 194, che rimane una pessima legge, non viene rispettata. Si sa, è molto più economico “frullare” – come dice il Dott. Viale – un bambino, piuttosto che aiutare una donna a dargli la vita. Anche se, per la mia esperienza, la questione economica è secondaria rispetto all’accoglienza. Altrimenti non si spiegherebbe perché in Paesi poveri, o durante la guerra, si fanno figli. Una volta nato il bambino, le risorse per farlo crescere si trovano: mia nonna, per esempio, ha fatto la quinta figlia durante la seconda guerra mondiale e questo mi è rimasto d’insegnamento.

Nel concludere, potresti lasciare un messaggio di speranza a tutte le donne affinché abbraccino con coraggio la loro vocazione alla maternità, e in particolar modo a coloro che vivono ore di incertezza rispetto all’accogliere la vita che ha cominciato a crescere dentro di loro?

Lascerei a tutte le donne indecise se abortire o meno il mio numero di telefono! A parte gli scherzi, a volte basta veramente poco per far vincere la vita. Dire a una donna: «Non sei sola», o fare qualcosa di concreto per lei, portare il carico in due.

Veramente, spesso non serve poi chissà quale aiuto, basta una vicinanza e già la donna sente che la maternità è un’impresa che deve compiere e che sta facendo la cosa giusta nel tenere quel figlio.
Alle volte basta anche solo dire che il bambino che nascerà sarà un bene per tutti, o anche aiutare la donna a esporre i suoi pensieri e le sue paure senza vergogna. È umano dire o pensare che non ce la si fa a fare un figlio! Poi però ci sono il padre e altre persone che accompagnano e aiutano la donna a scegliere per la vita.

Forse noi cattolici in questo possiamo rimproverarci il fatto di dire che le paure sono una cosa “brutta”, inconfessabile. Non è così. Il sentimento di una donna che scopre di essere incinta può anche essere ambivalente, è normale: un figlio ti cambia la vita, per sempre. In tale ottica, tutti i sentimenti vanno ascoltati, per poi fare un passo oltre e andare incontro alla vita.

Giulia Tanel


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