13/04/2018

L’aborto spiegato ai bambini: come fare?

Il maxi manifesto sull’aborto, è noto, ha suscitato grande fermento. Oltre al rimbalzo sui media e sui social, in tantissimi ci hanno scritto privatamente: alcuni per ringraziarci e incitarci a proseguire nell’opera di sensibilizzazione, altri per manifestare il loro dissenso e muovere delle obiezioni. In entrambi i casi, salvo alcuni messaggi puramente offensivi, è stato per noi utile e stimolante leggere le varie riflessioni.

Ad esempio, una signora ci ha scritto per chiederci (parafrasiamo, ma il senso era questo): «Avete pensato a come potrebbero prendere i bambini il vostro manifesto? Avete pensato al dolore che potrebbe provare un bambino di sei anni che ha appena imparato a leggere nella frase “la tua mamma non ti ha abortito” e prendere coscienza che certe mamme uccidono i loro bambini?».

La chiave di lettura da cui partiva la signora era di critica a ProVita, ma la riflessione che ne è scaturita può essere d’aiuto ad altri genitori. Proviamo a proporre qui una risposta.

L’aborto spiegato ai bambini

È vero il manifesto di 7x11 metri promosso a Roma poteva essere visto anche dai bambini. Proviamo a domandarci, quindi: potevano rimanere turbati dall’immagine o dalle frasi che riportava?

Prima di entrare nel merito della risposta è importante specificare un fatto. I bambini non hanno paura della vita, anzi ne sono incuriositi e hanno sempre molto interesse a sapere “com’erano prima di nascere”. Poi è chiaro a tutti che la realtà è fatta di tante cose: belle, brutte e anche spaventose. I criteri di giudizio rispetto al reale sono molto differenziati tra le persone: sta ai genitori assumersi la responsabilità di stare vicino ai bambini nella costruzione dei relativi significati.
E se decidono di starci, sicuramente lo faranno con tutto l’amore che permette al bambino di sentirsi al sicuro, anche se le parole utilizzate non sono quelle delle scienze...
I bambini vivono nel qui e ora e costruiscono le loro sicurezze dentro la sicurezza di essere amati dalle persone che per loro contano.

È anche un dato di fatto che le cose di cui si può parlare con gli adulti significativi non sono pericolose: un assunto, questo, che rimanda ancora all’importanza che vi siano genitori presenti e pronti a parlare con i propri figli, per aiutarli a “leggere “la realtà. 

Torniamo quindi sul pezzo.

L’immagine del manifesto è stilizzata, per quanto realistica. Un bambino non ne rimane spaventato, anzi: può essere una bellissima occasione per dirgli che anche lui era così nella pancia della mamma. Piccolino, tutto rannicchiato, bisognoso di coccole e calore. Gli si può mostrare, se lo si ritiene, qualche ecografia e soprattutto rimandargli il fatto che è stato desiderato, che è stato atteso, che è stato sognato... che anche quando era piccolo nella pancia, mamma e papà già si prendevano cura di lui. In sintesi: dalla semplice immagine si può riagganciare sia la storia personale e familiare, sia rimandare il fatto che lui – bambino – è prezioso e irripetibile. 

Veniamo quindi alla frase «E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito». Secondo la signora che ci ha scritto, questa frase sarebbe terribile per un bambino, perché chiama in causa un “tu” e rimanda il fatto che le mamme possono uccidere i loro bambini... Il ragionamento di per sé è corretto, ma dimentica un punto fondamentale: la parola “aborto” non è nota a un bambino di sei anni che può leggere il manifesto, che non ha dunque un portato esperienziale che gli faccia accogliere il termine in maniera negativa, come può essere per noi adulti. Quindi, di fronte alla richiesta di chiarimento di un bambino sulla frase, ci si può limitare a evidenziare il positivo, ossia – come sopra – il fatto che mamma e papà lo hanno accolto e atteso fin da subito. Non servono lezioni di educazione sessuale o altri discorsi complessi: si può stare alla domanda del bambino – come i pedagogisti ci insegnano, è bene non anticipare ma neanche negare le loro curiosità – ma volgendola al positivo, lasciando la trattazione del tema dell’aborto all’età adolescenziale.

Teresa Moro

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