24/09/2017

Accogliere un figlio, nonostante tutto. È giusto?

Un figlio va accolto sempre? O ci sono dei limiti. Un’appassionante testimonianza di una volontaria del Centro di Aiuto alla Vita di Pinerolo.

Un figlio all’improvviso

La storia che sto per raccontarvi è davvero intrisa di tragedia, dolore, e nello stesso tempo di dignità e di amore. La giovane mamma in difficoltà che si rivolse a me, quella mattina, per richiedere aiuto in vestiario e articoli vari per il figlio (una bimba) che doveva nascere, mi raccontò una storia terribile. Fortunatamente, aveva dove abitare, la sua mamma e il suo papà la ospitavano volentieri.

Era stata inviata al Centro di Aiuto alla Vita da un’ottima ostetrica polacca del consultorio (caso davvero inusuale: la collaborazione dei consultori pubblici con i CAV e le altre realtà associative che offrono aiuto alle madri in difficoltà è estremamente rara. Piuttosto è subito pronto nel cassetto il certificato per l’aborto) che l’aveva consigliata di dire comunque «» alla vita, di accogliere quel figlio unico e irripetibile.

Il compagno, che diceva di amarla, era fuggito all’istante quando lei gli aveva confidato di aspettare un figlio. Lei lavorava in un locale, ma non poteva continuare ancora a lungo il servizio ai tavoli e le pulizie, senza compromettere la sua salute e forse la vita della bimbetta che portava in grembo.

Il proprietario del locale la maltrattava, piuttosto che cercare di alleggerirle i compiti, pertanto lei avrebbe dovuto lasciare il posto di lavoro: di congedo per maternità, non se ne poteva neanche parlare.

Mi raccontò la tragica storia che portava sulle sue spalle come una croce.

Sposatasi in giovane età con uno straniero, l’uomo si rivelò presto assai aggressivo e violento. Poi un giorno incontrò un giovane italiano che si innamorò di lei. Ella lasciò il marito e andò a vivere in casa del giovane. Dopo un poco di tempo, però, un giorno il marito scoprì dove abitavano, e se lo ritrovarono davanti. L’uomo si gettò su di lei brandendo un coltello a serramanico. Il giovane con cui viveva si mise davanti a lei e morì per difenderla.

Il marito fu imprigionato, ma poiché era incensurato, visti i meccanismi della giustizia in Italia, tornò presto in circolazione. Pertanto la povera donna cominciò a vivere in stato di semi-clausura con i genitori. Questi erano costretti a cambiare sovente appartamento per far sì che l’uomo non la ritrovasse. Oggi, ho saputo da fonte sicura che sta di nuovo in carcere, giustamente, ma allora era ben libero di nuocere...

Dopo aver ascoltato la sua storia, tra me e Maria (nome di fantasia) si instaurò un affettuoso rapporto di solidarietà e di aiuto psicologico ed economico.

Verso la fine della gravidanza, mi venne a dire che le ostetriche del locale Ospedale intendevano praticarle il taglio cesareo, nonostante la bimba fosse ben posizionata, pronta per il parto, e lei si trovasse in stato di ottima salute. La tranquillizzai, le suggerii di non accettare quanto propostole, ma di richiedere il cesareo solo in caso di sofferenza fetale durante il travaglio. Purtroppo quella di effettuare “cesarei ad ogni costo” è una pessima abitudine delle nostre sale parto, che porta l’Italia al primo posto fra tutte le nazioni europee, per una pratica che non lascia spazio alla natura, ma porta denaro alle casse delle ASL e nelle tasche dei chirurghi.

La bimbetta nacque felicemente, sana, di ottimo peso.

Porto con grande affetto il ricordo di questa giovane – coraggiosa, vera mamma che sa sacrificarsi per il proprio figlio – nel profondo del mio cuore. Lei e la sua famiglia sono riuscite a riavere la felicità dopo le tragedie vissute. La decisione secondo natura di accettare aiuto e di accogliere la bimba che portava in seno fa parte di questa felicità: la nascita di un figlio non può che arrecare a tutti gioia e benessere.

Anna Maria Pacchiotti

Fonte: Notizie ProVita, maggio 2015, p. 6


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