28/08/2016

Bambini: le questioni bioetiche in neonatologia

Nel mondo, ogni anno, vengono alla luce 15 milioni di bambini prematuri e 1 milione sono quelli che muoiono.

In Italia, ogni giorno, 13 bambini nascono prematuri: il parto pretermine è in continuo aumento per un totale di 45.000-50.000 nati an- nualmente. L’indice di mortalità è poco più alto del 10%, mentre quello di disabilità si attesta intorno al 10-20% se nati prima delle 32 settimane e dell’0,5-1% se dopo le 32 settimane.

I problemi medici ed etici più rilevanti sorgono per i bambini nati tra le 22 e le 25 settimane di gestazione, secondo quello che viene definito il limite della vitalità.

La neonatologa M. S. Pignotti afferma: «Se domandiamo a 10 medici, in una stanza, cosa credono sia giusto fare di fronte a un neonato piccolissimo, ci troviamo davanti a risposte altrettanto diverse quanti sono gli interpellati, e, con le risposte, si evidenziano anche i dubbi, le in- certezze, le titubanze di ognuno. Ma se chiediamo agli stessi operatori se considerano l’assistenza a questi feti/neonati uno dei dilemmi più importanti e più delicati della odierna medicina, la risposta è unanime: sì!».

Tanti, inquietanti quesiti trovano spazio nella mente e nel cuore dei genitori di questi bambini e dei medici.

La prima difficile domanda è se occorre rianimare o meno neonati fortemente prematuri. Ci sono bambini che necessitano di un trattamento aggressivo, in grado di garantirgli la sopravvivenza; ce ne sono altri, invece, per i quali realizzarla significa semplicemente prolungare la loro agonia. «Individuare una soglia temporale a partire dalla quale rifiutare, a priori, ogni tentativo di rianimazione» è, per il Comitato Nazionale per la Bioetica, eticamente inaccettabile.

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«L’incertezza che connota la zona tra la 22a e la 23a settimana non può far presumere in modo rigido la futilità del soccorso, eccetto il caso in cui il medico diagnostica l’insufficiente vitalità del neonato, sia pure secondo parametri empirico-probabilistici» (CNB, 16). Ogni qualvolta ci si trova dinanzi alla futilità di un trattamento occorre poi limitare lo sforzo terapeutico.

Poiché oggi in neonatologia non ci sono certezze, ma solo fattori di rischio, il compito fondamentale di ogni neonatologo è quello di valutare caso per caso.

Altro complesso dubbio ha a che fare col confine che intercorre tra eutanasia e accanimento terapeutico. L’assistenza al neonato pretermine dovrà essere negata solo quando essa si dovesse tramutare in accanimento terapeutico. Soltanto quando il bambino non possiede capacità vitali, o nonostante la rianimazione stia morendo, ci si deve limitare all’erogazione di cure palliative e alla comfort care, mentre dinanzi ad un neonato pretermine con handicap oppure con danno neurologico e sofferenza cerebrale non è mai lecito «non iniziare o interrompere un trattamento non gravoso per evitare la gravosità di una vita con handicap» (CNB 13).

L’ultima problematica questione riguarda chi ha la capacità di decidere per il neonato prematuro, se i genitori o i medici. Il criterio da tener sempre presente è il miglior interesse del bambino. Ad eccezione di alcuni momenti in cui è il medico a dover prendere con urgenza determinate decisioni, in tutti gli altri casi è necessaria un’efficace collaborazione tra genitori e medici. Solo nei rari casi in cui si verifica una situazione conflittuale – sia il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, che il Consiglio Superiore di Sanità del 2008 – propongono di far prevalere il giudizio medico, magari dopo aver sentito il pensiero del Comitato etico.

Anna Paola Borelli

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Fonte: Notizie ProVita, luglio-agosto 2014, p. 22

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