05/04/2017

Casa Iride, dove “insieme è più bello”

Casa Iride è  una casa alla periferia di Roma, abitata da persone in stato vegetativo (VS) o in stato di coscienza minima (MCS),  incapaci di provvedere a se stesse.

Un luogo in cui esse ricevono tutte le cure di cui hanno bisogno e in cui  i familiari condividono l’ambiente con persone che stanno vivendo la loro stessa esperienza, imparando a metabolizzare e a fronteggiare la propria situazione e mantenendo la loro produttività in ambito lavorativo.

Un luogo in cui si riconosce la somma dignità di ogni persona, anche di quelle che sembrano più colpite e delle loro famiglie.

Abbiamo incontrato l’avvocato Francesco Napolitano, uno dei fondatori della struttura e dell’Associazione Risveglio. Ha gentilmente sottratto del tempo ai suoi impegni per rispondere ad alcune nostre domande.

  • Casa Iride, non struttura protetta, bensì organizzazione collettiva? Una comunità?

Casa Iride è una “casa” (non quindi un ambiente sanitario) che ospita, con assistenza infermieristica e di operatori sanitari h24, persone che, dopo un percorso di ospedalizzazione almeno superiore ad un anno, continuano a trovarsi in una condizione di Stato Vegetativo o di Minima Coscienza, cioè in quel gravissimo esito da danno cerebrale in cui è presente una completa inconsapevolezza di sé e dell’ambiente, con la conseguente impossibilità di raggiungere un rapporto relazionale.

Casa Iride è una “casa” dove poter “vivere”, essere assistiti nel modo più completo, sperare, amarsi, condividere la sofferenza e allo stesso tempo un “menage” familiare. E’ un nuovo modello sociale, primo ed ancora unico in Europa; una struttura nata per dare una risposta concreta al problema della difficilissima domiciliazione della persone in Stato Vegetativo cronico. E’ una risposta alla dignità di ogni vita, ad una equità sociale, ad una solidarietà familiare, laddove “insieme è più bello” ed all’insegna di un quadretto che all’interno della nostra stanza operativa recita “La gioia di amare sia il nostro pane quotidiano”. La visita del Santo Padre lo scorso anno ci ha dato una incommensurabile carica.

  • Che cosa è il Centro Adelphi? Spendete tempo ed energie a favore di “vite degne d’essere vissute”?

Il Centro Adelphi si rivolge in modo ultraspecifico a persone che sono passate attraverso una fase di coma prima e di Stato Vegetativo dopo, ma non cronico e che hanno “conquistato” alcuni progressi, sia cognitivi, che relazionali, che motori, pur restando in una situazione di non autosufficienza. E’ un centro diurno ad alta ed intensiva attività riabilitativa a 360 gradi, unicamente dedicato alle Gravi Cerebrolesioni Acquisite. Insomma, per chi “esce” dallo Stato Vegetativo o di Minima Coscienza, è il percorso idealmente agganciato a Casa Iride. Le richieste di ingresso sono numericamente enormi, perché l’alternativa è solo una assistenza domiciliare, che è fonte di isolamento e dunque di possibile “chiusura” al mondo, per l’assistito e per la famiglia. All’Adelphi si riconquista il mondo, in ogni dimensione, ciascuno con l’aiuto dell’altro. L’intervento terapeutico è multidisciplinare (fisioterapia, attività in acqua,logopedia, psicologia, terapia occupazionale, educazione professionale, operatori sanitari, musica, teatro, cucina, giardinaggio, attività informatiche,gruppi di lavoro e interventi singoli, etc.).

  • Le persone in stato di minima coscienza sono “malati”?

Le persone in Stato Vegetativo o di Minima Coscienza non sono in via di principio “malate”. Lo possono essere come qualsiasi persona (per una influenza, per una patologia specifica, etc.), ma di base sono clinicamente stabilizzate e non presentano morbosità o malattie. Esse sono enormemente disabili. La loro è la “summa” delle disabilità, perché coinvolge ogni aspetto “antropologico”: l’aspetto motorio, cognitivo, comportamentale, relazionale, percettivo, alimentare… Hanno spesso “solo” bisogno che qualcuno dia loro da mangiare e da bere, assieme a tutto il calore umano possibile. Ce ne restituiscono molto di più di quanto ne ricevano.

  •  I loro familiari non soffrono uno strazio troppo grande da sopportare nel vedere i loro cari “ridotti così”?

Lo strazio e la sofferenza dei familiari sono impossibili da raggiungere, ma possono essere accompagnati, attutiti e giustificati da una condivisione amorevole e da un supporto operativo che mostri la straordinaria bellezza e purezza di partecipare ad ogni tipologia di vita. In venti anni di frequentazione di famiglie con persone in Stato Vegetativo non mi è mai capitato, dico mai neppure una volta, di conoscere una famiglia che abbia pensato di “farla finita”. La vita in comune è poi una inesauribile fonte di appoggio reciproco.

  • Quelli che sono favorevoli al diritto di morire si presentano come paladini della libertà e dell’autodeterminazione. E’ libertà la libertà di morire?

La “libertà” di morire non esiste e non può esistere, perché è contraria al concetto stesso di “libertà”, che è dentro l’uomo e connaturata al suo essere e quindi al suo essere vivo. L’uomo è l’unico essere “vivente” in grado di conoscere e percepire la “libertà” intesa nel senso di interiore sentimento, perché essa fa parte dell’essere uomo vivo; essa è dunque intimamente e indissolubilmente connessa alla “vita” e non certo alla soppressione di essa. La libertà “è” essa stessa un connotato essenziale della vita umana, in senso antropologico e spirituale. La autodeterminazione non può dunque arrivare ad una libertà di “morte”. Essa può solo consistere nella consapevolezza che la morte in un certo momento è “naturalmente” in arrivo e che la si debba accettare ed accompagnare, evitando sofferenze insopportabili solo per allungare la vita per poco tempo e in modo innaturale. La “libertà” è dunque quella che ci porta a morire in questo modo e che è esaltata se può godere di una amorevole presenza di affetti terreni e di vicinanza trascendentale.

Ringraziamo, per oggi, l’avvocato Napolitano. Domani – ha promesso – risponderà a qualche altra domanda.

Francesca Romana Poleggi


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