23/01/2019

Congresso Mondiale delle Famiglie, l’economista Rocchi: «Con utero in affitto donna è solo fattore produttivo»

Al Congresso Mondiale delle Famiglie (Verona, 29-31 marzo 2019) non mancheranno gli interventi dal mondo dell’economia. La realizzazione nel lavoro e la sicurezza economica non possono essere i soli indicatori di felicità: le relazioni umane e, in special modo familiari, sono fondamentali per la completezza e pienezza della persona. Anche per questo, l’istituto familiare va protetto da ideologie che lo minano alle radici. Ideologie che hanno nell’utilitarismo e nel pan-economicismo il loro fondamento: una minaccia serissima per la famiglia che è fondata sulla cultura del dono e sull’amore, gratuito per definizione. Questi e altri temi saranno trattati da Benedetto Rocchi, professore associato di Economia e Politica Agraria all’Università degli Studi di Firenze, nella sua relazione in programma al Congresso delle Famiglie. A colloquio con Pro Vita, Rocchi ha illustrato la sua visione delle problematiche familiari attuali.

A Verona contro l’utero in affitto, Professor Rocchi?

«Nell’ultimo anno, sono stato chiamato a riflettere in particolare sul fenomeno dell’utero in affitto dal punto di vista economico. Dal punto vista etico, lo considero assolutamente condannabile, comunque io mi soffermerò in particolare sul fatto si è creato un vero e proprio settore aziendale per produrre bambini e commercializzarli. Questo settore si sviluppa promettendo la felicità ai consumatori. Sul web in particolare, si possono trovare pubblicità che mostrano coppie che, da infelici che sono inizialmente, si approcciano al mondo della fecondazione artificiale e della maternità surrogata e ne escono felici… Quindi, il contributo che si può dare a tale riguardo è che questo tipo di tecniche possono anche far crescere l’economia e gli scambi di mercato ma non possono affatto far crescere la felicità. La felicità è infatti legata alle relazioni personali, mentre queste tecniche, al contrario, portano lo scambio monetario nelle relazioni personali più profonde, che riguardano il dare la vita e l’accoglierla. Se interviene l’interesse economico, non può che produrre una grande infelicità, distruggendo le relazioni: una relazione umana è basata sul dono, lo scambio è l’esatto contrario del dono. Ovviamente in tutto questo c’è la donna vista come fattore produttivo, quindi la dignità della donna (e del bambino!) come persona, viene colpita duramente. Questo è il motivo per cui ho voluto partecipare a questo tavolo».

Cos’è, allora, che può rendere libere le donne?

«È chiaro che la libertà delle donne è assicurata anche dal riconoscimento dei loro diritti come persone. Sicuramente nella famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, le donne possono trovare il giusto riconoscimento della propria dignità e anche della propria libertà. Come in tutte le situazioni di dono e di scambio reciproco, all’interno della famiglia, la donna può trovare il suo ruolo che non è necessariamente solo quello di moglie e madre ma è anche nel contributo alla vita della famiglia, nella sua attività lavorativa. Questo, però, lo si può trovare nel contesto di una relazione d’amore in cui si cammina insieme e si cresce insieme: è qui che le donne possono trovare la loro libertà. In generale, sicuramente – e questo vale anche per gli uomini – la libertà non va intesa come rivendicazione di diritti individuali in cui ogni singola persona è vista come entità separata da tutte le altre, che fa il suo personale interesse. È semmai nel trovare insieme agli altri la propria giusta dimensione».

Qual è il messaggio più importante che vorrebbe trasmettere al Congresso?

«Anche in questa sede vorrei fare riferimento al mio campo professionale. La famiglia è senz’altro il mattone fondamentale della convivenza delle persone e della società, quindi investire sulla famiglia e difenderla, chiedere alla società e allo Stato che riconoscano i suoi diritti, vuol dire fare il bene di tutta la società, anche dal punto di vista economico. Dove non ci sono famiglie, non ci sono figli, né crescita, né ottimismo, né sguardo verso il futuro. Difendere la famiglia a tutti i livelli significa in qualche modo difendere la convivenza tra le persone in tutta la società.
Anche come cristiano, ritengo che la difesa della famiglia sia la battaglia fondamentale. È chiarissimo che attraverso la presenza della famiglia nella società si può portare avanti l’annuncio cristiano. San Giovanni Paolo II lo ha detto molto spesso, ma anche papa Francesco lo ha ribadito: la famiglia va difesa da tutti gli attacchi ideologici. Queste prese di posizione credo siano dovute al fatto che la famiglia è il primo luogo dell’annuncio cristiano. La battaglia per la famiglia non è una battaglia di retroguardia. Semmai è un guardare verso il futuro e l’evangelizzazione deve passare anche attraverso quello».

Luca Marcolivio

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