07/10/2017

Crisi della famiglia e crisi dell’identità di un popolo

La famiglia vive oggi un momento difficile. Lungi dal piangerci addosso, appare tuttavia utile fornire un dettaglio delle motivazioni alla base di questa crisi.

Famiglia: la parabola discendente del matrimonio

Dalla fine degli anni ’60 il nostro Paese ha conosciuto un radicale mutamento di costume e mentalità. È stata una rivoluzione culturale che ha investito la società e l’ha cambiata alle radici.

L’anno topico è il ’68, l’anno, per intenderci, della pillola e insieme dell’affermazione della libertà di scindere procreazione e sessualità. Ne sarebbero scaturite, di lì a non pochi anni, le rivendicazioni abortiste.

Ma già nel 1965 il socialista Loris Fortuna aveva presentato un progetto di legge sul divorzio. Fra contrapposizioni e lotte quel progetto sarebbe divenuto legge il 1º dicembre 1970 (legge n. 898 – “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio). Né il referendum abrogativo, promosso dai partiti contrari e dal mondo cattolico nel ‘74, sarebbe riuscito ad arrestarne la corsa.

Intanto, «l’indissolubilità del matrimonio da patrimonio comune della società, si era ridotta a peculiarità della Chiesa» (Josef Ratzinger, La via della fede). Se ne era smarrita la significanza profonda. Restava in piedi come una sorta di simulacro del passato, inefficace a far fronte all’inarrestabile affermarsi di libertà e laicità.

La dissoluzione del matrimonio come istituzione e come valore procedette, quindi, spedita. Si ridusse a contratto che si può disdire. La legislazione divenne sempre più permissiva e i tempi del periodo di separazione coniugale, che secondo la legge doveva precedere il divorzio, si abbreviarono progressivamente (da 5 anni ad uno, in caso di separazione giudiziale, e 6 mesi, in caso di consensuale). Contestualmente aumentarono i divorzi e si contrassero i matrimoni.

Agli inizi degli anni 2000 i tempi erano maturi per la caduta della specialità del matrimonio come ordinamento sociale. Si iniziò allora a chiederne l’equiparazione ad altre forme di convivenze ed unioni. Nel 2016, infine, la legge Cirinnà (approvata dal Parlamento l’11 maggio 2016 ed entrata in vigore il 5 giugno 2016) ha esteso alle coppie omosessuali la quasi totalità dei diritti e doveri previsti per il matrimonio (fatta eccezione per obbligo di fedeltà e adozione).

Ma proprio per la rapidità del processo si è smarrita una nozione fondamentale, che era invece chiara alle generazioni precedenti: la centralità della famiglia come luogo del costituirsi dell’identità, non sono personale, ma anche di popolo. E questo lo si misura oggi nelle sue devastanti conseguenze.

Ne citiamo una su tutti, palese, evidente: il crollo dei tassi di natalità.

Eclissi della famiglia, eclissi di un popolo

Nel nostro paese la famiglia da sempre ha costituito una rete fondamentale, che riempiva il vuoto in materia di assistenza, insieme all’importantissima funzione degli enti religiosi, specie femminili. Venendo meno quei valori e quella società naturale, si è creato un deficit a livello pubblico che ha inciso negativamente sulla fertilità.

Oggi un diverso immaginario della realizzazione personale s’impone. Le ragazze, ad esempio, la identificano con una buona posizione lavorativa, se non con la carriera. E quello che si verifica, per le note carenze di politiche per la famiglia, è che quella non si concilia con il ruolo di madre. I tempi e i ritmi lavorativi sono fatti, anzi, per impedire anche a chi volesse.

È una società disgregata che non individua più nelle responsabilità, e soprattutto nelle responsabilità familiari, un modello positivo. L’emergenza del paese, proclamata appena un anno fa a gran voce dai politici, dai media, ed elevata addirittura ad istanza di civiltà, non è stata, lo si ricordi: «Sosteniamo i giovani che vogliono mettere su famiglia» o «Aiutiamo le mamme», ma: «Equipariamo le coppie di fatto alla famiglia!».

Prevale l’individualismo della libertà sull’istanza relazionale, di cui è portatrice la famiglia.

Quell’istanza è originaria, nella misura in cui la persona si trova inserita già geneticamente all’interno di una relazione. È la relazione e, quindi, la società naturale costituita dalla coppia umana l’orizzonte dell’esperienze fondanti, che non sono mai conoscenze astratte, ma sempre esperienze in relazione a persone: il padre, la madre, innanzitutto, ma anche i nonni, i fratelli, i cugini etc.. Lo afferma anche la nostra Costituzione, quando all’articolo 29 riconosce «i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Né i padri costituenti hanno avuto bisogno di precisare, perché il matrimonio era un’istituzione ben precisa, collaudata da millenni di storia, sia pure con qualche accezione diversa, ma sempre come fatto pubblico, celebrato, riconosciuto.

Nel bambino che nasce c’è fisicamente la comune eredità dei genitori. Nel bambino che cresce c’è l’attuazione di un progetto educativo comune, costruito pazientemente, giorno per giorno: modelli di vita, in misura di ciò che i genitori sono individualmente e dell’armonia di coppia che hanno saputo costruire nel tempo. Mamma e papà danno alla visione della vita una sorta di funzione binoculare, una complementarietà insostituibile. In questo senso ne viene il rispetto loro dovuto come rispetto della memoria, come segno di una storia.

La rottura di quei legami, la corruzione delle relazioni familiari, comporta la crisi dell’identità profonda di un popolo.

È questo il motivo della caduta dell’Impero romano, come hanno rilevato studi recenti. È questo quanto si respira oggi a livello di atmosfera sociale. Le stesse motivazioni del IV secolo d. C. si ripetono oggi. La stessa crisi d’identità passa oggi dalla famiglia alla società, attraversando le identità individuali.

Clemente Sparaco


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