22/01/2017

Demografia - Fare bambini, salvare l’Impero

Perché è caduto l’Impero Romano? Una domanda complessa, cui gli storici danno molteplici risposte, e che non può non tenere conto della demografia, ossia «la scienza che studia quantitativamente i fenomeni che riguardano il movimento della popolazione».

Un’ipotesi convincente, ma spesso poco approfondita, è che la causa principale che ha portato alla deposizione di Romolo Augusto nel 476 vada ricercata nella denatalità.

La demografia ci parla dello stato di salute di una società, sia nel tempo presente che nel prossimo futuro. In relazione a questo, in un libro del 2014 (Gli ultimi giorni. La fine dell’Impero romano d’Occidente, Les Belles Lettres, Parigi 2014), il giornalista e storico francese Michel De Jaeghere individuava la principale causa della caduta dell’Impero romano nel calo delle nascite.

A supporto di tale tesi l’autore riportava alcuni dati significativi. Ad esempio, la popolazione dell’Urbe nel V secolo subì un vero e proprio tracollo demografico, arrivando a contare appena qualche decina di migliaia di abitanti a fronte del milione che ne contava nel periodo d’oro. Né andò meglio nelle campagne, dove molti villaggi furono abbandonati e interi territori finirono per essere lasciati incolti.

A causare il fenomeno furono non solo le guerre, le carestie e le epidemie, che si diffondevano molto velocemente e causavano molti morti fra la popolazione in età fertile, ma una tendenza che si andò a consolidare nei secoli fino a divenire costume diffuso.

La denatalità ebbe, quindi, conseguenze dirette sull’economia, innescando una spirale di tasse insostenibili, statalismo dell’economia, immigrazione non governata ed eserciti sempre più imbelli. Dall’alto si susseguirono provvedimenti per promuovere la natalità, ma l’esosa fiscalità finì per ammazzare l’economia. Nelle campagne, in particolare, i piccoli proprietari, non potendo più pagare le tasse, finirono per ingrossare le fila della criminalità. A ruota seguirono la crisi del commercio e dell’artigianato.

Gli introiti fiscali, alla fine, anziché aumentare, diminuirono vertiginosamente (nell’ultimo secolo quasi il 90% in meno!). Contestualmente, procedette il decadere dei presupposti culturali e morali della romanità, quella lealtà alle tradizioni dei padri e quella fedeltà alla parola data e agli impegni assunti nei confronti della patria, che l’avevano resa grande.

Per far fronte alla crisi a livello di demografia si confidò, in un primo tempo, negli schiavi, cui fu fatto divieto di praticare l’aborto e che furono addirittura obbligati a fare più figli. Ma questa misura si rivelò insufficiente sia a sanare il dissesto finanziario, perché gli schiavi non pagavano tasse, sia a risollevare l’economia, perché lavoravano in modo poco zelante e, conseguentemente, erano poco produttivi. Per ripopolare i territori si ricorse allora all’immigrazione.

Interi popoli barbari furono convogliati all’interno dei confini. Si decise anche di reclutare gli immigrati per l’esercito, concedendo loro nel contempo la cittadinanza, al punto che all’inizio del Vo secolo, l’esercito romano (che contava quasi mezzo milione di uomini) era per metà formato da immigrati di origine germanica.

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Pompei, I sec d.C.

Per un certo periodo i comandanti restarono saldamente romani, ma quando i barbari presero coscienza di essere la maggioranza, uccisero i generali romani e li sostituirono con uomini loro. Accadde, quindi, che le legioni barbarizzate, anziché respingere gli invasori etnicamente affini, si unirono a loro e, alla fine, marciarono su Roma, ponendo fine all’Impero.

Il libro ha suscitato in Francia una discussione più che vivace, che dall’ambito storiografico si è estesa a coinvolgere quello politico. E si può facilmente capire perché.

Non è difficile, infatti, intravedere in quanto l’autore scrive più di un riferimento alla situazione dell’Europa di oggi. Per questo stesso motivo l’argomento è stato rilanciato in Italia un anno dopo da Massimo Introvigne (Denatalità, tasse, immigrazione. Ecco perché finiremo come l’Impero Romano, La Nuova Bussola Quotidiana 23-02-2015).

Al di là di valutazioni corrette o politicamente scorrette attribuibili all’autore, resta il dato significativo di come la crisi della demografia possa portare in un vicolo cieco un’intera civiltà deprimendone energie e vitalità economiche, culturali e spirituali.

Clemente Sparaco 


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