06/09/2017

Di cosa hanno veramente bisogno i bambini?

Quando si parla di bambini pare che abbiano tutti le idee chiare. Soprattutto se si tratta dei figli degli altri, ovviamente.

Quando poi, però, si passa dalle “parole” alla “pratica” concreta, quando quei bambini di cui si parla sono nati da noi e dipendono da noi ventiquattro ore al giorno, la questione cambia. Non siamo più così sicuri, non abbiamo più la risposta sempre pronta e talvolta l’ansia di sbagliare e il timore del giudizio altrui si impossessano di noi.

Bene, per prima cosa facciamo chiarezza: i genitori perfetti non esistono (questo ormai è un dato diffuso, anche se stare di fronte ai propri limiti può non essere esaltante...) e i figli perfetti neanche. Esistono gli adulti e i bambini: persone con un loro carattere, con dei loro bisogni, con i loro pregi e i loro difetti.

Questo punto forse è spesso dimenticato: i bambini sono persone con dei bisogni che sta all’adulto cercare di capire e assecondare (ove e quando sia corretto farlo) e sono competenti in relazione al loro sviluppo, non sono delle bamboline da trascinare da una parte all’altra e da servire fino a quando il loro numero di scarpe arriva a superare il nostro.

Quali sono i bisogni dei bambini?

Di cosa hanno bisogno i bambini? Seguendo il pensiero corrente, si potrebbe cominciare a fare l’elenco delle “buone norme” educative e a insistere sull’importanza di amare i propri figli (che per molti equivale a dire sempre di «»), passando per il “tempo di qualità genitori/figli” (una bufala epica) e sull’importanza delle attività extrascolastiche (che rendono i bambini dei piccoli manager e che non permettono loro di sperimentare la “noia”, che invece è importantissima).

Ognuno ha la propria idea di educazione, ma spesso si finisce con il dimenticare un aspetto fondamentale per una crescita armonica, rilevato da John Gottman nel suo Intelligenza emotiva per un figlio: «La chiave per essere genitori di successo non si trova in teorie complesse, in regole familiari elaborate o in contorte formule comportamentali. Essa si trova nei sentimenti più profondi di amore e di affetto per i figli, e si dimostra semplicemente attraverso l’empatia e la comprensione. Una buona educazione dei figli comincia dal cuore dei genitori, e poi continua, momento per momento, nello stare vicini ai figli quando la tensione emotiva cresce, quando essi sono tristi, arrabbiati o spaventati. L’essenza dell’essere genitori consiste nell’esserci in un modo particolare, quando esserci conta davvero».

I bambini, sintetizzando, hanno bisogno che i genitori siano “connessi” con loro a livello empatico e che sappiano cogliere i loro bisogni più profondi, tra i quali quello fondamentale di sentirsi amati.

Ma come fare quanto sostenuto da Gottman? Sembrerebbe una cosa impegnativa, adatta a chi ha una certa formazione e predisposizione.

Non è così, sostiene ancora lo studioso: innanzitutto facendo come genitori un “allenamento emotivo”, in maniera tale da poter poi essere pronti a vivere con i propri bambini i vari passaggi di crescita, con naturalezza e coinvolgimento.

Quando un bambino chiede – solo per fare tre esempi comuni – perché il nonno è morto, o come nascono i bambini, o perché  i genitori del suo amichetto non vivono più assieme... non sta chiedendo una lezione sul senso della vita, sulla sessualità o sul divorzio. Sta invece chiedendo ai genitori di vivere con lui in maniera empatica questi passaggi faticosi, e di aiutarlo a rielaborarli, guidandolo e rasserenandolo. Semplicemente, vivere assieme fatti che in un bambino possono generare l’ansia dell’abbandono (la morte), la fatica di costruire la propria identità sessuata e il bisogno di capire le sue origini e quanto è stato desiderato (come nascono i bambini), o il timore che mamma o papà possano abbandonarlo e separarsi, magari anche per colpa del fatto che lui non è un bravo bambino (il divorzio)...

«Nell’ultimo decennio (il libro è del 1997, ndr), la scienza ha compiuto scoperte sensazionali sul ruolo che le emozioni svolgono nella nostra vita. I ricercatori hanno constatato che, più del QI, sono la consapevolezza emotiva e la capacità di padroneggiare i sentimenti a determinare il successo e la felicità in tutti i campi dell’esistenza, inclusi i rapporti familiari», scrive ancora Gottman.

La famiglia è la prima scuola dove imparare a gestire le proprie emozioni, con i propri genitori. Ed è qui che si apre la falla: ci sono genitori che sanno essere guida per i figli nel mondo delle emozioni e genitori che non sanno svolgere questo ruolo, che sono immaturi sotto questo aspetto. Se si è di fronte a questo secondo caso, occorre che i genitori comincino a lavorare su se stessi, prendano consapevolezza di questo loro limite e provino a sanarlo: per un loro benessere, ma anche per quello dei loro bambini.

I genitori perfetti non esistono, lo ripetiamo. Ma si è in due, mamma e papà, anche per coprire uno le mancanze dell’altro, e un figlio vale di certo anche un investimento su se stessi.

Teresa Moro


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