10/01/2018

Diritti della donna e gender equality

Apprendiamo da un articolo di Repubblica che in Islanda (Nazione al primo posto nel Global Gender Gap Report, stilato annualmente dal World Economic Forum) è entrata in vigore una nuova legge, approvata nel marzo 2017, che impone la pari ed equa retribuzione a parità di lavoro  tra uomo e donna.

Tale legge dovrà essere rispettata da tutti i ministeri, istituzioni ed aziende con più di 25 dipendenti. Queste ultime, infatti, saranno tenute a certificare periodicamente (all’incirca ogni tre anni – precisa ilPost) al Governo di pagare lo stesso stipendio all’uomo e alla donna che svolgono le stesse mansioni.

Controlli sistematici saranno effettuati dalle autorità tributarie e dalla Lögreglan á Íslandi (un corpo di polizia composto prevalentemente da funzionari  donna) e chi sarà sorpreso a non rispettare le parità stabilite verrà punito con ingenti sanzioni pecuniarie (più di 400 euro al giorno per ciascun giorno in cui non v’è stata parità di salario).

Come riporta Repubblica in un altro articolo – il Ministro degli Affari sociali e dell’Uguaglianza, Thorstein Viglundsson, citata dal New York Times, avrebbe affermato: «Siamo decisi ad abbattere le ultime barriere retributive legate al Gender in ogni posto di lavoro».

ALT! Non si stava parlando di donna? Cosa centra il Gender adesso? La differenza tra uomo e donna è una differenza di sesso! Sembra proprio che si tratti del solito tranello dei paladini della “Gender-equality”. Si riempiono la bocca di parole a “tutela” dei diritti della donna (quasi obbligata a lavorare e fortemente discriminata se casalinga) ma confondono il sesso col gender... E, in pratica, la donna, nell’ambito di tale propaganda, viene semplicemente usata.

È giusto che a parità di mansioni svolte ci sia parità di retribuzione. E la Costituzione italiana  italiana lo prevede da 70 anni.

Ma per molte donne la carriera e il lavoro non sono una libera scelta: sono un obbligo dato dal fatto che con un solo stipendio non si sbarca il lunario.

Un discorso a parte, poi andrebbe fatto sul mito della emancipazione lavorativa della donna che oggettivamente la induce ad abbandonare casa e famiglia e a darsi alla carriera, a ritardare la maternità, a non fare figli, tradendo la sua femminilità.

E se le donne perdono la loro femminilità (ed i maschi la loro virilità), come vuole l’ideologia gender, avremo una società in cui regnano “neutralità” e confusione.

Le Donne della Redazione


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