03/01/2018

Donne: dalle sofferenze del parto al lavorare con sudore?

Il 2018 si è aperto da neanche trentasei ore e già i propositi di speranza in un mondo migliore iniziano a vacillare. Anche in chi, per indole, vorrebbe sempre vedere il positivo e aspirerebbe ad arrivare ultima – sia nella classifica per sole donne, sia in quella mista – nella gara di “lamentazione libera”.

Eppure, guardando brevemente le notizie, non si può che uscire sconsolati nel leggere le “novità” che verranno attuate in materia “donne e lavoro”.

Si legge su Il Giornale: «La novità più rilevante riguarda le lavoratrici del privato ed è l’equiparazione dei requisiti per la pensione a quelli degli uomini. L’età pensionabile sale a 66 anni e 7 mesi dagli attuali 65 anni e 7 mesi, con minimo 20 anni di contributi. Nel 2019 scatterà per tutti l’aumento a 67 anni. Una misura fortemente punitiva per le donne lavoratrici, che generalmente hanno carriere più discontinue rispetto ai colleghi uomini e quindi meno contributi. Per questo durante l’iter della manovra erano emerse proposte che avrebbero messo al riparo le donne dalla stretta sulle pensioni. Di tutte le buone intenzioni è rimasto un allargamento dell’Ape sociale, cioè l’anticipo della pensione con costi a carico dello Stato, alle lavoratrici madri. Lo sconto è di 12 mesi a figlio per un massimo di due anni».

Proviamo a sintetizzare, esasperando un pochino i toni e utilizzando delle immagini stereotipate con tutti i loro limiti, ma mantenendo fede ai dati di realtà.

Le donne “moderne”

Se sei stata una di quelle donne “moderne”, tutta carriera e niente figli, allora a 67 anni potrai forse (ma le cose cambieranno ancora...!) cominciare a riposare. Non sarai più nel pieno delle forze, ma poco importa perché tanto non avrai figli con i rispettivi coniugi da invitare a pranzo la domenica e nipoti urlanti da viziare. Insomma, poco male.

Le donne “nella media”

Se invece sei annoverabile tra le donne “nella media”, quelle che hanno lavorato sì, ma che uno o due figli («Vabbè, abbiamo fatto il fratellino perché X continuava a chiedercelo...») li hanno anche fatti, allora – nel complesso – non hai di che lamentarti. Certo, non potrai goderti i tuoi nipoti se non quando saranno già un pochino cresciuti (posta un’età media del primo figlio attorno ai trent’anni) e la pensione sarà da fame, ma non si può avere tutto dalla vita...

Le donne “di una volta” 

Se, infine, sei tra le donne “di una volta”, quelle poco furbe che non hanno capito che esistono i contraccettivi e la televisione, e hai messo al mondo tre o più figli – entrando, così, nella famigerata setta delle “famiglie numerose” -, il tutto ricevendo aiuti risibili (... anche se quei figli, i tuoi, concorrono al bene di tutti!) e investendo sul futuro dell’umanità il tuo corpo, le tue ore di sonno, le tue risorse umane, psicologiche, fisiche, finanziarie... insomma, se sei tra queste donne “di una volta” qui, ti meriti un «Grazie» risicato risicato, appunto quantificato in 24 mesi di vita (che forse neanche corrispondono al monte ore di sonno perse per sempre). Tutto qui. Al che, se i figli non fossero il dono più grande che una persona può ricevere, pur nella fatica di generarli ed educarli, verrebbe quasi da dire: «Dopo il danno, anche la beffa».

Donne, sono queste le conquiste del femminismo?

A questo punto, donne, nasce una domanda: il dolore del parto (che comunque si dimentica immediatamente) è veramente peggio del lavorare con il sudore della fronte, tanto da favorire questa seconda opzione? Ma, soprattutto, il fatto di esserci spostate verso il “campo d’azione” degli uomini, rende veramente più felici noi – in primo luogo – e le persone che ci vivono affianco?

La domanda resta aperta: non c’è una risposta preformattata e uguale per tutte le donne. Quello che è tuttavia certo è che il lavoro, per le donne, dovrebbe essere una “opzione possibile”, non un “obbligo”; il che, in termini economici, significa che una famiglia con tre o quattro figli dovrebbe poter vivere dignitosamente con un solo stipendio, quello del pater familias.

Se poi una donna volesse lavorare, dovrebbe poterlo fare, ma scegliendolo volontariamente: perché i figli non arrivano, perché il “genio femminile” è comunque indiscusso e utile per la società, perché i pargoli sono oramai cresciuti, perché si desidera un tenore di vita più alto, perché...

Costringere le donne a far prevalere il “sudore della fronte” sul “dolore del parto”, o a sobbarcarsi entrambi i pesi, o a vivere con il dito altrui puntato perché «Non fa nulla, è casalinga»... beh, questa non è una conquista e il vero femminismo è ben altra cosa.

Teresa Moro


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