21/03/2018

Down – Francesco è nato, ed è speciale

Oggi, 21 marzo, si celebra la Giornata Mondiale delle persone con la Sindrome di Down.

Sappiamo bene, purtroppo, come siano sempre di più i bambini che – portatori di questa sindrome – vengono uccisi prima di vedere la luce, tanto che vi sono Paesi (l’Islanda, su tutti) che pronosticano esultanti un futuro “down free”.

Eppure, le testimonianze come quella che leggerete ce lo insegnano, avere un figlio con trisomia 21 non è un dramma, anzi è un’opportunità per andare al centro delle cose: è difficile, è innegabile, ma ogni figlio comporta sacrifici particolari... e dona gioie inimmaginate.

E qui potete vedere il video pubblicato da LifeNews in cui 50 mamme  qualsiasi con 50 bambini di 4 anni qualsiasi cantano “A Thousand Years”. Tra tutti quei bambini c’è solo una piccola cosa in comune: 1 cromosoma in più.

 

Francesco, un segno per chi ancora non comprende

Sei arrivato così, in punta di piedi, a demolire le nostre certezze per costruirne di nuove. Ci hai fatto sapere di te mentre, in vacanza, percorrevamo l’Italia da nord a sud, aggrappandoti alla vita con tenacia. Sei cresciuto piano piano, laddove mi aspettassi una pancia ingombrante come quella dei tuoi fratelli, tu stavi lì, raggomitolato come un gattino, occupando il tuo piccolo spazio con discrezione, senza nessuno di quei fastidi notturni che avevo imparato a conoscere così bene... Tu, che a ogni ecogra a ci davi un piccolo segno, mi facevi stare col ato sospeso per poi tranquillizzarmi: «Non preoccuparti mamma, quella cisti non c’è più... il flusso ora va bene».

Tu che durante la gravidanza, nelle mie letture via web, puntualmente mi facevi soffermare su esperienze di famiglie con figli speciali e confermavi nel mio cuore quella scelta, la scelta di non fare diagnosi prenatali invasive, perché se non potevano servire a un’eventuale cura in utero, ma solo a decidere per la morte, beh, non facevano per me. Per noi.
Intanto io consolidavo la mia idea di accoglierti comunque fossi, perché in ogni caso saresti stato il mio bimbo. Una scelta intima, di testa e di cuore, di getto, senza impegno, senza cognizione di causa, senza consapevolezza.

Sentivo che saresti arrivato in anticipo: la tua mamma fa una vita un po’ movimentata... così, con tre settimane di vantaggio sulla tabella di marcia, mi hai fatto correre in ospedale. Il momento era il meno opportuno: io febbricitante, a casa tutti con la tosse, il tuo fratellino più piccolo (che adesso è a pieno titolo anche lui “fratello maggiore”) con la febbre alta e a rischio convulsioni...

Nonni e zii precettati, lasciati tra nipoti e flaconi di medicine, fermenti, integratori, soluzioni siologiche, compiti e responsabilità. Un ottimo team, tutti. Grazie. In questi giorni, quando ti abbandoni un po’ agli eventi e non sei mai in tutti i luoghi dove vorresti, una mamma impara che per quanto sia importante, neanche lei è indispensabile.

La sera del Giovedì Santo, alle 21, è cominciato il travaglio. Il travaglio per una donna è dolore e sangue, ma a ogni contrazione immaginavo il mio corpo modificarsi per darti al mondo. Così il dolore acquistava senso e diventava quasi piacevole.

Tra una contrazione e l’altra dormivo. Il dolore mi svegliava e segnavo l’ora con un messaggio a Marco. Lui era andato a riposare e si chiedeva cosa fossero quei numeretti (uomini...!). Verso le due di mattina mi sono alzata dal letto per andare sulle mie gambe in sala parto, prima di non riuscire a farlo più.

Avevo i brividi addosso, sentivo tanto freddo. In effetti, avevo 36.5 di alterazione, che per una maestra con gli anticorpi come i miei è già febbre!

In sala travaglio un’ostetrica minuta, con la voce dolcissima, mi ha accompagnato con discrezione in quelle ore. Ho telefonato a Marco perché venisse. Nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo la mia veglia nell’orto degli ulivi è stata questa.
A ogni contrazione recitavo un Padre Nostro e un’Ave Maria. Con quelle preghiere attraversavo il mio dolore, stringendo forte la mano a Marco. Poi c’era la pace, addirittura il sonno ristoratore.
L’ostetrica mi guardava ammirata, diceva che sembravo non soffrire, mi consigliava di alzarmi, scegliere come stare, di vocalizzare per sentirmi meglio... ma come fai, mi ha chiesto? Sto pregando.

Se avete visto film su una nascita o assistito a parti, o se avete partorito, saprete che le contrazioni si fanno sempre più forti e ravvicinate. Per me no.

Ma mai come stavolta. Questa volta tanto tempo tra una e l’altra. Quando sentivo di spingere, poi una lunga pausa riportava tutto alla pace. Ogni tanto sentivo i piedini di Francesco puntarsi sotto le mie costole.

Piccolino, si stava dando da fare... Domandavo all’ostetrica, Monica, se fosse colpa mia, se non mi impegnassi abbastanza. Lei mi rassicurava: è tutto fisiologico. Infatti, non mi ha toccato, ci ha lasciato i nostri tempi.

Ogni tanto un’altra ostetrica si affacciava socchiudendo la porta scorrevole. Sembrava venire a respirare una strana pace in quella stanza, mi guardava chiedendosi come mai una partoriente, nel pieno delle doglie, sembrasse non soffrire. Invece soffrivo eccome.

Monica, delicatamente, disegnava piccoli cerchi sulla mia schiena, all’altezza dei reni... che sollievo. Ho chiesto a Marco di farlo, massaggiandomi anche lui lì. Ha cominciato a massaggiarmi le spalle.

«Amore scusa (non sono di quelle che prendono i mariti a parolacce, almeno non quando partorisco), ti ho chiesto sui reni». E lui: «Perché, dove sono?».
Ok, lui è un grafico: la radiologa è sua sorella, per fortuna. Le ore passavano, stava albeggiando. Sentivo gli uccellini cinguettare (nessuna droga, neppure l’anestesia).

Alle sette Monica mi ha salutato: «C’è il cambio turno, devo passare le consegne. Stai tranquilla, se hai bisogno chiama, siamo nella stanza a fianco».
Mi sono sentita impaurita, anche se Marco era lì. Sentivo arrivare la contrazione, gli ho chiesto di chiamare, perché saresti nato in quel momento. Francesca, l’ostetrica del nuovo turno, ha fatto appena in tempo ad affacciarsi sulla soglia e prendere la tua testolina tra le mani, perché con tre spinte tu sei venuto alla luce, avvolto come in fasce nel tuo sacco integro. Nato con la camicia, bimbo fortunato. Venerdì Santo, 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione di Nostro Signore. Ti hanno appoggiato sul mio petto, un po’ piangevi, poi no. Mi sono preoccupata che ti coprissero, che ti pulissero. Ti hanno portato via e in un attimo intorno a te si sono affollate quattro persone, parlando del tuo cordone.

Dopo poco la pediatra si è avvicinata. Ho avuto l’impressione che volesse darci una notizia difficile, così, quando ha cominciato a fare l’elenco delle cose positive che aveva riscontrato, non ero attenta e sinceramente non ne ricordo neanche una, talmente ero concentrata a capire dove si concludesse il suo discorso, ma in realtà già sapevo cosa stava per dire.

Lo avevo avvertito. Marco era sgomento. Tu lo sapevi? Perché non me l’hai detto?

Lì si sono scontrati i nostri due mondi. Il mio, femminile, di chi accoglie la vita, prende le cose di pancia e di cuore, senza pensare troppo alle conseguenze. Il suo, maschile, più razionale, pronto ad analizzare la situazione e magari vederne i lati più impegnativi e pesanti. Francesco non ha foto di quel momento. Io presa dal conoscerlo, cercando di attaccarlo al seno, tra il tubicino della ebo e la posizione scomoda della barella, Marco con le dita freneticamente impegnate a scrivere alle mamme quella notizia, a trovare le parole.

Francesco è nato, un bimbo speciale.
Perché tu sei venuto a noi con quel cromosoma in più, che in tante famiglie ti avrebbe reso un indesi- derabile. Ma sei nato nella famiglia perfetta per te.
Fin dalla prima gravidanza non ho mai voluto fare indagini genetiche. Non ho mai accettato quell’1% di rischio di aborto dell’amniocentesi, a fronte di una scelta già fatta. Aspettando Matteo, mentre ero a letto con il distacco del sacco, mi ero imbattuta in un servizio su bambini con sindrome di down e già allora avevo capito che, comunque fosse, sarebbe stato mio glio.

Tuttavia mi hanno stupito la serenità e la gioia. Sì, la gioia vera proprio per il tuo cromosoma in più, quella davvero non me l’aspettavo...

Le tue nonne che hanno pianto, lì per lì, posso capirle (anche se nonna Nana dopo cinque minuti era in macchina per conoscere il suo nuovo nipotino preferito, aggiunto alla lista dei quattro preferiti, cioè tutti!), le mie zie, che cercavano parole di conforto e sembravano non saper cosa dire perché quelle, a me, davvero non servivano. Forse non capirò soltanto le persone che si preoccuperanno per noi... come può preoccupare tanta benedizione? Io mi sento scelta, privilegiata, particolarmente amata, come mamma. Da te, Francesco, che devi avermi puntata dall’alto e forse, nella tua innocenza mi hai un po’ sopravvalutata, ma soprattutto da Gesù, che invece mi conosce bene e non può essersi sbagliato. Se mi ha dato ducia lui, posso ogni cosa che mi chiederà. Tra l’altro non da sola. Con un marito che si scoprirà certo più forte di quanto crede, due famiglie alle nostre spalle che sono rocce per noi e i primi miracoli intorno, come le parole di una tua zia: «Magari Francesco è arrivato perché cambiassimo idea»... e l’idea del mondo lo sappiamo qual è, che ciò che non rientra nei canoni va eliminato, alla radice. Invece tu ci sei e sei cosa buona, perché il Signore non fa mai nulla di sbagliato, né niente per renderci infelici.

In una famiglia normalmente felice, mancavi tu a farci straordinariamente felici.

Così eccoti qui, in punta di piedi, mentre con tenacia e dolcezza stringi le mie dita e dici: io ci sono. Un inno alla vita e un segno per chi ancora non comprende. Grazie Francesco, amore mio, cercheremo di meritare la tua fiducia.

Emanuela, mamma di quattro figli

Fonte: Articolo apparso su Notizie ProVita di Luglio 2016, pp. 6-7


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