09/08/2013

Elogio delle “ruote degli esposti”

Anni fa capitai per caso in un blog. Vi si discuteva il caso di una ragazza maghrebina, alle prese con una gravidanza indesiderata. “Voglio andare al consultorio”, scriveva lei. “Ma c’è sempre l’aborto”, interveniva un’altra, come se stesse parlando di una operazione chirurgica di routine. Chi ragiona in questo modo, però, o non sa di cosa parla o vuole nascondere il costo psicologico dell’accaduto. Non parlo da medico o da psicologo: più semplicemente mi è successo di sentire il rimpianto dalla viva voce di una donna che affermava: “Se non avessi abortito, ora mio figlio avrebbe esattamente vent’anni”. Una frase del genere detta da una madre sancisce un dato di fatto anche senza il “sigillo” dato dalla ricerca scientifica: chi abortisce subisce una perdita umana, né più né meno.
Collateralmente all’aborto c’è poi un’altra piaga che insidia la vita nascente: l’abbandono. Di tanto in tanto succede ancora che qualche neonato venga ritrovato fortuitamente nei pressi di un cassonetto: vivo – quando va bene – e coperto da pochi panni. Sia aborto che abbandono sono sintomo di una disaffezione alla vita, frutto di povertà spirituale prima ancora che materiale, ma quale sarebbe un rimedio concreto?
Reintroduciamo massicciamente le “ruote
degli esposti”. Per la verità, esistono le Culle per la Vita in  cliniche come la Mangiagalli di Milano o l’Ospedale Civile di Brescia (ne abbiamo già scritto): si tratta di sportelli dietro cui c’è una culla termica. Non appena un bambino vi viene depositato, un sensore avvisa della sua presenza e scatta subito l’intervento di specialisti di Patologia neonatale presenti a tutte le ore. Ma ce ne vorrebbero di più: in Italia soltanto quaranta, contro le circa cento della Germania. È vero che così non si garantisce la cura della madre nel caso di complicazioni mediche (meglio sarebbe partorire in ospedale e non riconoscere il bambino), però funziona. E anticamente funzionava talmente bene che nell’Ottocento si arrivò ad abolirla, perché troppa gente “scaricava” i bebé agli orfanotrofi, che si trovavano così a gestire un grande sovrannumero di “ospiti”, molti dei quali vi morivano di stenti. Proprio con motivazioni analoghe l’Onu si è espressa di recente contro le “ruote”, poiché oltre a deresponsabilizzare gli adulti contrasterebbero con il diritto dei bambini a conoscere i propri genitori ed essere allevati da essi . Ma sotto sotto sappiamo lo spirito antinatalista che serpeggia alle Nazioni Unite...
Nell’essere “esposto” non c’è e non ci deve essere nessun marchio d’infamia: il trovatello può essere accolto in una nuova famiglia senza riportare alcun trauma e anzi, realizzandosi pienamente grazie ad essa.

Inoltre  la tendenza generale della demografia di casa nostra è notoriamente in piena parabola discendente, con conseguente crisi economica. E vale a poco consolarsi dicendo che “per fortuna ci sono gli immigrati a fare figli”, perché anche essi tendono a perdere la “spinta riproduttiva” adeguandosi ai modelli culturali del Paese di arrivo. Quello che i mille ragionamenti sui “diritti” hanno perso di vista è che il primo vero diritto – quello alla vita – del nuovo nato (o nascituro) è prioritario e inderogabile, perché una nuova vita significa una nuova opportunità di crescita, anche economica: basti pensare quanti trovatelli e orfani abbiano potuto crescere e apprendere un mestiere attraverso nobili istituzioni, come il Martinitt milanese o gli Artigianelli di Brescia. Quindi se l’Italia desidera crescita e nuove opportunità, o più schiettamente, se non vuole scomparire per sempre, essa ha bisogno di più bambini. Certo, le “ruote degli esposti” non sono la bacchetta magica che risolverà la situazione di colpo. Ma possono aiutare a ristabilire quella mentalità a favore della vita che potrebbe ridare energia e speranza a uno spompato “Paese per vecchi”, come il nostro.
E chi intende muovere critica a queste posizioni, per favore non adduca come motivazione il presunto “disonore” dell’essere trovatelli: personaggi famosi come  l’esploratore Henry Morton Stanley, l’attrice Frances McDormand e l’illuminista D’Alembert lo sono. Come si può capire, nemmeno una circostanza del genere preclude l’avere successo nella vita.

di Gian Spagnoletti
Blu-Dental

 

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