30/03/2019

Famiglia, natura e cultura. Facciamo chiarezza

Torniamo a soffermarci sul tanto discusso Congresso Mondiale della Famiglie. In questa occasione vogliamo confutare i numerosi e maldestri tentativi di ricondurre la tanto vituperata “famiglia naturale” a una dimensione puramente culturale. Varie testate si sono prese la briga di interpellare fior di professori per ottenere conferma di questa tesi.

Il sito Galileonet:

«Parlare di famiglia naturale non ha alcun senso”, spiega Vincenzo Matera, antropologo dell’Università di Bologna. “Come tutti i fatti sociali è soggetta a un ambito vastissimo di variazione tra le popolazioni del mondo”. Esistono infatti culture che hanno forme diverse di unione parentale. Un buon esempio, racconta l’esperto, sono i Nuer del Sudan, una cultura che contempla persino il matrimonio tra donne: una donna infertile infatti può sposare un’altra donna, e sceglierle un amante con cui generare un bambino che sarà legittimamente figlio di entrambe».

E ancora: «“Quando i relatori del Congresso parlano di famiglia naturale in realtà stanno parlando di quella famiglia nucleare eterosessuale che si è formata alla fine del ‘700, in Europa, come già spiegava il filosofo francese Foucault”, racconta Angela Balzano, ricercatrice in diritto e nuove tecnologie dell’Università di Bologna».

Il Manifesto:

«Un ricchissimo patrimonio di ricerche ha tuttavia mostrato chiaramente che non esiste un unico modello di famiglia e che il concetto di famiglia “naturale” (esso stesso “artificiale”, frutto di una lunga evoluzione socio-culturale) è privo di qualsiasi base scientifica».

Il Bo Live – Università di Padova:

Telmo Pievani, docente di filosofia delle scienze biologiche a Padova, sostiene «quanto sia pericoloso identificare il naturale con il giusto. […] Prendiamo come esempio il fatto che in società primitive fossero diffusi il cannibalismo o l’infanticidio. Solo perché sono pratiche antiche, vuol dire che siano giuste?».

E con quest’ultimo intervento introduciamo la risposta alle obiezioni. Le considerazioni di cui sopra partono tutte da una duplice confusione:

  • Quella che gioca sull’ambiguità di significato dell’attributo “naturale”;
  • Quella che mischia natura e cultura.

1) Naturale, nell’uso comune, è ciò che si trova in natura (a natura). In questo senso “naturale” si oppone ad “artificiale”. In questa accezione rientra qualunque comportamento: quello istintivo dell’animale e quello razionale dell’uomo, gli atti buoni e quelli cattivi.
Nell’uso filosofico che ci interessa, naturale è ciò che è conforme a natura (secundum natura), ma – attenzione – non alla natura animale, “rousseauiana” o selvaggia, bensì alla natura umana. In questo senso “naturale” si oppone a “innaturale”. Questa è l’accezione propriamente morale del termine e vi rientrano solo i comportamenti umani che siano liberi e conformi alla ragione. Cosa vuol dire conforme a ragione? Vuol dire conforme alla struttura finalizzata dell’essere umano. E perché mai? Semplice: nel fine risiede anche il bene.

La sessualità maschio-femmina è l’unica naturale perché strutturata secondo una complementarietà armonica (fisica, chimica, ormonale, psicologica) finalizzata alla trasmissione della vita e – si badi bene – alla sua cura per una crescita corretta e completa. In questo senso la famiglia naturale è solo quella originata dall’uomo e dalla donna in quanto padre e madre. È questo l’unico binomio che rende possibile la generazione della vita e l’equilibrato sviluppo della prole che ha bisogno di un padre e una madre, le cui differenze psico-fisiche non sono opzionali (e il vero scandalo è che nel XXI secolo si debba perdere tempo a mostrare questa verità lapalissiana). Da questo punto di vista, alla famiglia naturale si oppongono le unioni omosessuali.

2) La confusione tra “naturale” e “culturale” è quella di chi si sforza di provare che, nelle varie epoche storiche, classi sociali e aree geografiche, i modelli familiari sono stati e sono tuttora molteplici. Questa confusione è possibile solo assumendo come dato il concetto di “naturale” nel primo senso (ovvero di ciò che si trova in natura). Accusando i “;tradizionalisti” di ricondurre la famiglia alla natura (tout court), i nostri detrattori hanno gioco facile nel mostrare che in realtà “;in natura” esistono tanti tipi diversi di famiglie. Ma abbiamo spiegato che non è questa l’accezione corretta nella considerazione della bontà morale – e politico-sociale – dell’istituzione familiare.

La confusione è presto risolta proprio perché l’uomo, non essendo una bestia, diversifica il proprio comportamento in base alla cultura di appartenenza come ad altre mille variabili; ma l’esistenza di molteplici strutture familiari, dettate da esigenze di vario genere (talvolta anche solo passionale – si pensi alla poligamia – o esistenziale – si pensi alla “;gestazione per conto altrui” dei Nuer del Sudan), mostra solo uno stato di cose che si limita a dire come l’umanità si comporta di fatto, lungi dall’indicare come dovrebbe comportarsi. Da questo punto di vista, alla famiglia naturale (un padre e una madre) si oppongono le altre forme di “;famiglia allargata” fondate – quelle sì – sullo sfruttamento e/o reificazione della donna (poligamia et similia) o dell’uomo (poliandria).

La risposta sul “;dover essere”, che lega cioè natura e giustizia, è sempre lì: in quell’unica unione dalla quale è garantita la nascita e la crescita equilibrata degli individui, nonché la sopravvivenza della specie.

Vincenzo Gubitosi

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