19/02/2015

Famiglia naturale e sviluppo psico-affettivo del bambino

Per il sano sviluppo psico-affettivo dei bambini occorre una famiglia naturale, cioè una mamma e un papà.

E’ una cosa ovvia, ma di cui oggi si deve dar conto e ragione. 

Ascoltiamo quindi le argomentazioni del dottor Bonini, pediatra a Pistoia, che ci segnala il suo scritto apparso pochi giorni fa su La Croce.

Nei giorni scorsi mi è capitato fra le mani questo scritto pubblicato su una rivista pediatrica nel 2009, del mai dimenticato prof Franco Panizon uno dei padri della pediatria moderna, che descriveva i primi atti di vita di un bambino.
“Ecco, il neonato si è staccato dal seno. Ha fatto la sua prima poppata, neanche mezz’ora dopo esser nato, trascinandosi come un piccolo verme verso l’odore e il sapore del capezzolo materno. Ha riconosciuto la sua mamma, dalla voce, ma anche, certamente, da qualcosa d’altro; dal ritmo e dai toni del cuore, dalle caratteristiche speciali di quel ritmo e di quei toni; tac-to-toc, inconfondibili giacché li ha ascoltati, sempre quelli, sempre gli stessi, più forte e più piano, ma sempre quelli, per nove mesi; forse l’ha riconosciuta anche dal gusto del colostro che magari ricorda vagamente il gusto del liquido amniotico che ha bevuto per tanto tempo; e gli è sembrato di riconoscere anche la voce del padre, che veniva da qualche parte lì vicino (il 70% dei neonati riconosce anche il padre dalla voce, già alla nascita).

Certo, non sa neanche cosa siano il padre e la madre; non sa che sono persone; non sa neanche cosa voglia dire essere una persona; per ora sono solo due voci, un odore, un tac-to-toc, sempre lo stesso, il calore accogliente della pelle, una vaga sensazione di umido, una luce che prima non c’era ... Confronta insieme quello che sente, quello che vede e quello che tocca, e si fa un’immagine del mondo; ne disegna la mappa; e mette la mappa del mondo dentro di sé, e in quella mappa sistema se stesso e tutte le cose, buone e cattive, che incontra, ordinandole in una specie di scatola che chiameremo la scatola dello spazio/tempo ... Questo è l’inizio della conoscenza del mondo, l’inizio della storia di un uomo.”

Come dice lui, l’inizio della storia di un uomo, l’inizio di un rapporto fra un neonato e la sua famiglia, sua madre, suo padre.
Tutto questo può sembrare ovvio, forse inutile da ricordare, per chi di figli ne ha ed ha vissuto più volte questa esperienza; oggi invece sembra che non sia più così, che i figli si possano fare in più modi, che le famiglie possano essere di più tipi, e che 130 anni di studi mai contraddetti di pedagogia, di psicologia dell’età evolutiva, di neuropsichiatria infantile e di pediatria, sul ruolo del padre e su quello della madre, oggi abbiano perso il loro valore, facendo intendere che anche due uomini o due donne, sono in grado di allevare efficacemente un bambino, o che possiamo creare in laboratorio fin dalla nascita, figli già orfani di padre o di madre.

Quanto di seguito scrivo non sono mie supposizioni o deduzioni (sono un semplice pediatra di famiglia, appassionato del suo lavoro, ed innamorato da 35 anni del “materiale umano” con cui vengo quotidianamente in contatto), ma frutto di studi di psicologi e neuropsichiatri dell’infanzia: Margaret Mahler, Abraham Maslow, John Bowlby, Claudio Risè, Melania Klein, Merleau Ponty ed altri amici da cui ho preso spunto (Dott. Daniele Mugnaini, Dott. Roberto Marchesini, Prof Massimo Gandolfini).

Partiamo dall’inizio della vita, subito dopo il concepimento, inizia l’attaccamento madre-feto, che è stimolato e favorito dai buoni rapporti interpersonali che la mamma in attesa ha con il padre del bambino, con la famiglia di origine, con la propria madre.
Questo rapporto fra mamma e bambino durante i 9 mesi di gestazione, avrà delle importanti ripercussioni anche sull’attaccamento che avviene dopo la nascita, ed avrà ripercussioni sullo sviluppo psicologico e affettivo per tutta l’età evolutiva, ma anche oltre.

Scrive la psicologa Silvia Vegetti Finzi, “la donna tende ad immaginare il bambino ancora come parte di se stessa, all’interno del suo corpo e della sua mente. Lo nutre di fantasie mutevoli, in gran parte inconsce, che si riallacciano alla sua stessa infanzia e ai suoi sogni di bambina, quando fantasticava un figlio per sé giocando alle bambole […] E se lo immagina già nato, un bambino ancora molto piccolo, da tenere racchiuso fra le braccia, da nutrire, coprire, riscaldare, coccolare. Mentre l’uomo immagina di solito un bambino reale, già nato e magari un po’ cresciuto, un trottolino con le scarpine ai piedi, pronto a seguirlo nelle sue attività. Pensa di giocare con lui, di tenerlo vicino mentre si dedica al bricolage […]. Oppure di portarlo con sé allo stadio, in montagna, in barca, a pescare lungo un fiume […]. Prima ancora che nasca, proietta già il figlio in una realtà futura, dai contorni precisi, come i comportamenti e le azioni che lo legheranno al bambino. E’ quindi un modo già molto attivo, concreto di immaginare il figlio e la relazione con lui, basato sul fare insieme” (Vegetti Finzi S., Battistin A.M., A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall’attesa ai cinque anni, Mondadori Editore, 1997).

Comprendiamo così quanto la vita intelligente di ognuno di noi, comprese le capacità sensoriali, abbia trovato le sue origini già nel periodo in cui nostra madre ci ha tenuto per 9 mesi in grembo, aiutata e sostenuta da nostro padre.

Con la nascita inizia il vero e proprio processo maturativo del bambino attraverso la strutturazione progressiva delle due caratteristiche fondamentali della personalità: la conoscenza di sé e la costruzione del senso d’identità: il processo di individuazione e separazione.
Questa “conoscenza del sé” fa parte di quelli che Maslow (psicologo americano) definisce “bisogni primari”, che sono strettamente connessi al benessere del bimbo: per “sentirsi bene” il bambino non ha bisogno solo di nutrirsi, di dormire, di essere protetto, amato ed aiutato, ma ha necessità di “conoscersi” a 360°, e proprio qui fonda tutta la sua importanza il dato della “differenza sessuale” dei genitori, attraverso la quale il bimbo impara e costruisce la propria identità sessuale.

Questo cammino è determinato essenzialmente dalla sua relazione con la mamma, con cui il bambino stabilisce un rapporto di simbiosi che dura fino al terzo anno di vita.
In questa fase ha un’importanza fondamentale il rapporto con il corpo della mamma, che il bambino esplora con le mani e con la bocca.
Il padre rimane esterno a questa simbiosi non tanto come interesse affettivo, quanto come posizione fisica del corpo (il piccolo sta meno in braccio al padre, se piange è più facilmente consolato dalla madre) facendo sì che il bimbo col tempo si distacchi dalla madre, si separi da lei, inizi i suoi primi passi verso il mondo, verso la vita, verso la propria identità.
Attraverso la simbiosi con la mamma e il contatto con il suo corpo, trova la fiducia, dopodiché affidandosi al padre trova se stesso.

Serve un padre per differenziarsi dalla madre, per accettare le ferite e riconoscere il senso ed esprimere il proprio Sé, entrando così personalmente nel tempo e nella storia”. Così scrive Claudio Risé in Il padre. Libertà dono (edizioni Ares, 2013, pp. 142).

La madre è più disponibile e accogliente, capace di rispondere in modo partecipato e interessato, dimostrando tenerezza fisica, ascolto, interesse, consolazione, e pazienza.
La funzione materna (spesso supportata da altre figure femminili, come la nonna), con la sua gratuità, ha un ruolo fondamentale nel determinare quella sicurezza interiore che accompagnerà il bambino per tutta la vita.
Il padre, dal canto suo, è meno centrato sul bambino (parla meno, fa meno richieste, accomoda meno il proprio linguaggio in termini di tono e lessico), interagisce in modo più imprevedibile e fisicamente più stimolante.
Quanto più gioca, incoraggia l’esplorazione, è di supporto ma stimola l’impegno. Ciò aiuta lo sviluppo dell’indipendenza, di un orientamento positivo verso il mondo esterno, di una gestione equilibrata dell’aggressività.
Trasmette il messaggio che la vita non è solo conferma e rassicurazione, ma anche conquista dolorosa e faticosa di gioie più profonde.

Secondo studi scientifici, l’assenza del padre durante i periodi di crescita critici, porta al deterioramento delle abilità sociali e comportamentali ed aumenta il rischio di sintomi depressivi in adolescenza, soprattutto per le ragazze.
Inoltre i bambini con padri presenti e stimolanti hanno in futuro meno problemi con la Legge e una vita morale più equilibrata.
È quindi fuori dubbio che le prime relazioni che riguardano la sfera affettiva, ma anche il comportamento e l’apprendimento, avvengano all’interno della famiglia, prioritariamente con la madre e progressivamente con il padre.

Anche l’acquisizione della sua identità sessuale si afferma, non in astratto, ma attraverso un “rispecchiamento” con i propri genitori, con una “messa in situazione” dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori.
Quindi è soprattutto nella relazione con il padre e la madre che tutto questo si attua e matura.
Il genitore dello stesso sesso deve essere fisicamente e emotivamente presente nella vita del bambino valorizzandone tutti gli aspetti belli e tipici anche del proprio sesso in concomitanza all’apprezzamento degli aspetti belli e tipici anche dell’altro sesso.

L’equilibrio non si trova nell’esaltazione di un sesso rispetto all’altro, nell’umiliazione di un sesso rispetto all’altro, ma nemmeno nell’appiattimento dei due sessi, affermando che non esistono differenze biologiche, strutturali e psicologiche fra l’uomo e la donna, o che queste siano secondarie rispetto al dato culturale (come oggi una certa cultura femminista radicale e del gender va affermando).
Pertanto non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia dello stesso sesso, non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale.
Ricordiamo che la bellezza sta proprio nella differenza uomo-donna ma anche nella sua complementarietà (che non è solo anatomica).

Se nel momento in cui il piccolo esplora la sfera sessuale, lo priviamo di una delle sue figure di riferimento o, peggio, gli creiamo condizioni di ambiguità, può instaurarsi in lui un processo di regressione psicologica.
Ciò interferisce negativamente nello sviluppo pieno della propria personalità, e di una chiara identità sessuale.
Non evidenziare la differenza maschile – femminile genera un processo opposto: indebolisce e rende più fragile l’ identità del giovane, crea insicurezza, incertezza e disorientamento.
Tutto questo non vuol dire dare un giudizio nei confronti delle persone con orientamento omosessuale o discriminarli, ma vuol dire, prima di tutto, tutelare dei minori, che si affidano al mondo degli adulti per vedere garantiti i loro diritti.

Concludo con le parole del prof Guido Crocetti (professore di Psicologia clinica presso “La Sapienza” di Roma e direttore del Centro italiano di Psicoterapia psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza): “I bambini sopravvivono sempre, anche alle guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze, ma questo – appunto – è sopravvivere, non vivere nel pieno dei loro diritti”.
Il fenomeno della “resilienza”, termine preso in prestito dalla metallurgia per indicare la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione, e studiato nei ninos de strada delle favelas delle megalopoli, non dovrebbe essere un alibi per permettere e legalizzare una “fabbrica di orfani”.

Giovanni Bonini

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.