30/10/2016

Famiglia: per i giovani è ancora un valore

I nostri ragazzi hanno voglia di investire nella famiglia, intesa quale ambito in cui costruire relazioni positive e nel quale trovare le sicurezze necessarie per lanciarsi nella vita, e nei valori. 

A dircelo i risultati del progetto di ricerca Teen’s Voice: miti e valori dei giovani tra scuola, società e lavoro, realizzato «dal 2015 il Salone dello Studente in collaborazione con La Sapienza – Università di Roma, [...] con l’obiettivo di realizzare un sondaggio annuale sugli studenti che partecipano ai saloni Campus Orienta», frequentanti la quarta e la quinta superiore.

Alla soglia dei diciotto anni, dunque, nel momento in cui tanti giovani si preparano a spiccare il volo verso nuove mete e cominciano a rendersi responsabili, la famiglia viene ancora vista come un fattore importante. Tanto che una buona percentuale di studenti «mettono al centro della loro definizione del lavoro futuro, la tranquillità, la stabilità, il benessere e il fatto che esso possa lasciare loro tempo a sufficienza per la famiglia e per altre attività».

Un valore, quello della famiglia, che va di pari passo con i valori della giustizia, della democrazia, della solidarietà, dell’impegno personale... in un mix che a tratti paga lo scotto di un’impostazione politically correct e del maistreaming (per esempio quando si parla di “rispetto delle differenze”, non meglio specificate, o quando si utilizza il termine “genere” per evidenziare le differenze tra ragazze e ragazzi).

Due dati sono comunque certi. Il primo è che, «rispetto alle tendenze che emergevano nelle ricerche di fine del secolo (gratificazione personale a discapito del senso di responsabilità sociale), la nostra ricerca rileva un progressivo ritorno dei giovani verso l’impegno sociale e la cultura». Il che è di certo positivo. Il secondo dato invece dovrebbe far riflettere il mondo adulto, ed è la constatazione che: «pur constatando un forte afflato ideale dei nostri studenti, non possiamo non registrare come l’avanzare negli anni e l’approssimarsi di scelte di vita porti a una progressiva attenuazione di questi valori. Questo lieve decremento dei valori positivi è più netto per le femmine che per i maschi. Partono a 17 anni da una visione più costruttiva della società e dei rapporti con essa, tuttavia, tendono più dei loro coetanei, a riaggiustare i propri punti di vista per adottare, intorno ai 19 anni, punti di riferimento comunque positivi ma meno idealisti». La domanda sorge spontanea: come mai, nel giro di un paio d’anni, i ragazzi perdono la loro spinta verso ideali grandi? Cosa li porta a questa “depressione” valoriale?

La risposta è complessa e di certo imputare la totalità della colpa ai mass-media non appare corretto. Ma forse qui ha più senso ragionare sul fatto che è necessario mantenere desto nei giovani quel pizzico di idealismo che spinge a fare scelte importanti, che vanno oltre i calcoli razionali (come sostiene il filosofo Hadjadj, il fatto di sposarsi e mettere al mondo un figlio supera la logica dei pro e dei contro): e questo lo si fa con la propria testimonianza di vita, incarnata nei valori che si professano.

Ad ogni modo, torniamo al dato di partenza: i giovani hanno voglia di famiglia. Hanno voglia di vivere l’esperienza dell’accoglienza e della donazione, due atteggiamenti che hanno insiti in sé la gratuità e il “per sempre”: cose che forse loro stessi non hanno sperimentato, ma che continuano a rimanere – e non a caso – nell’elenco dei “desiderata”. Perché, in fondo, generare (fisicamente e spiritualmente) significa mettere a frutto la propria vita e dunque essere felici.

Il tutto alla faccia dell’OMS e delle sue trovate pro-singletudine (e pro adozioni gay e utero in affitto), alla faccia dei dati allarmanti dell’Istat rispetto a matrimoni, separazioni, divorzi e denatalità (che 800 euro di “premio nascita” non risolveranno) e alla faccia dei No Kid con le loro feste “per la vasectomia” e degli animalisti.

E fino a quando c’è famiglia, c’è speranza.

Teresa Moro


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