24/09/2018

Famiglia sotto attacco: i servizi sociali UK come in Norvegia

È un fenomeno grave, doloroso e crescente quello che si sta verificando nel Regno Unito, ovvero l’incredibile abuso perpetrato dai servizi sociali nei confronti della famiglia, di moltissime famiglie, che si sono viste letteralmente portare via i propri bambini.

Gli ordini di “assistenza sociale forzata”, nel Regno Unito, sono saliti da 7 o 10 fino a 130 nel 2017, con un incremento del 34%. La cosa più grave è che le motivazioni risultano incredibilmente futili.

Prendiamo il caso di Jill Goss che, dopo aver notato uno strano gonfiore sul braccio di sua figlia Alyssa, la portò prontamente in ospedale ma, a causa della presenza di lievi fratture nel braccino della piccola, probabilmente generate dalla carenza di vitamina D, per la quale la bambina era stata già in cura, la donna venne arrestata perché sospettata di maltrattamenti. Tuttavia, nonostante, in seguito, le accuse contro Jill siano state ritirate, i servizi sociali arrivarono a strapparle ugualmente sua figlia e addirittura a darla in adozione. Scappata in Spagna mentre era incinta del secondo figlio, venne minacciata anche lì dagli assistenti sociali britannici, dopo la nascita del bambino.

Ma ciò può accadere anche se ci si ritrova un figlio obeso, magari con genitori obesi, in cui dunque il fattore genetico gioca un ruolo essenziale ma che non viene tenuto in considerazione, nel momento in cui il bambino viene strappato alla sua famiglia in quanto considerata incapace di occuparsi adeguatamente della sua salute. È ciò che è accaduto in Scozia, dove quattro bambini tra i 5 e gli 11 anni sono stati tolti alla famiglia perché obesi e dati in affidamento. Si tratta di un caso che sta meritando una valanga di critiche: già si parla di una vera e propria forma di discriminazione verso chi è grasso e di un’incredibile ingerenza nella vita privata delle famiglie da parte dello Stato. Al Mail On Sunday la mamma quarantaduenne che ha conservato l’anonimato per tutelare i minori, ha assicurato che farà ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo e sostiene che li abbiano presi di mira per via della loro stazza. La famiglia è stata, inoltre, sottoposta ad un vero e proprio “campo di rieducazione” dal Comune di Dundee, dove vive la coppia, nel 2008 che ha imposto loro un insolito programma di monitoraggio: per due anni la famiglia ha dovuto alloggiare in una casa stile Grande Fratello, sorvegliata a vista durante i pasti da un assistente sociale che annotava eventuali sgarri alimentari e, in seguito al fallimento dell’esperimento, i quattro bambini più piccoli della coppia sono stati dati in affidamento definitivo.

Sir Andrew McFarlane, il presidente della Divisione per la Famiglia inglese, ha affermato che i tribunali affrontano casi non abbastanza gravi da giustificare la separazione dei figli dai genitori: «Si può giustamente dire che siamo giunti a una fase in cui la soglia per ottenere un provvedimento giudiziario in tal senso è notevolmente bassa», ha affermato testualmente.

Ma il Regno Unito, purtroppo, non è l’unico stato europeo in cui si sta affermando una prassi così drammatica. Abbiamo già visto cosa accade in Norvegia dove, in nome del “migliore interesse” del bambino (dove l’abbiamo già sentita questa espressione..?) si rischia di procurargli un grandissimo trauma. Dal 2010, infatti, in Norvegia la Barnevernet, il servizio di protezione dell’infanzia, strappa i minori alla famiglia per un nonnulla. In un video di 20 minuti intitolato Norway: Broken Families (Norvegia: famiglie distrutte) vengono mostrati casi concreti in cui le decisioni di questo ente pubblico sono state pesanti e discutibili. Inoltre, nel 2016, in una lettera aperta di protesta, al Ministro per l’infanzia, sottoscritta da 170 professionisti norvegesi della protezione dell’infanzia, tra cui avvocati, psicologi ed esperti di assistenza sociale, l’ente in questione è stato definito “un’organizzazione disfunzionale che commette gravi errori di giudizio, con pesanti conseguenze per le famiglie”.

Nel Regno Unito, però, che accadano questi soprusi non dovrebbe sorprendere: Alfie, Isaiah, Charlie e Melody sono stati uccisi contro la volontà dei genitori cui è stato impedito di portarli via dall’ospedale dove erano ricoverati. La patria potestà, per la Corte inglese che ha condannato Alfie, è un “retaggio culturale” di un mondo “arcaico” che deve essere sostituito, oggi, dal “migliore interesse del minore”…

È tipico degli stati totalitari il voler abolire qualunque corpo intermedio, innanzi tutto la famiglia, per poter mettere le mani direttamente sulla mente e sul corpo dei (piccoli) cittadini. Nei regimi dittatoriali i figli non vengono educati dalle famiglie, ma dalla scuola di Stato, che veicola l’ideologia che alberga nella classe al potere.

Affermava Chesterton: «La famiglia è una cellula anarchica dove vigono delle regole proprie, che non sono né dello Stato, né del mercato. Una camera di compensazione a protezione dell’individuo. Se gli togli la famiglia, l’individuo diventa il perfetto consumatore, solo davanti al mercato e allo Stato».
La famiglia rappresenta l’ultimo baluardo contro quella che qualcuno ha definito “la cultura della morte” e la “colonizzazione ideologica” che tanto stanno corrodendo le fondamenta dell’esistere stesso. Per questo, oggi, difendere la famiglia, non vuol dire difendere l’idea di un modello stereotipato tipo “Mulino Bianco”, ma vuol dire difendere la Vita stessa e la Libertà.

Manuela Antonacci

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