07/01/2017

Famiglia: sovvertendo la realtà naturale, si distrugge l’uomo

Non è solo la famiglia, non sono solo i concetti stessi di unione coniugale, di maternità e paternità, di filiazione, a essere l’obiettivo di un’offensiva senza pari nella storia dell’umanità. La pretesa di ridefinizione o di cancellazione dei legami che definiscono le relazioni naturali fra esseri umani implica necessariamente una manipolazione del concetto stesso di uomo.

Non è quindi solo alla sociologia che dobbiamo rivolgerci per dar ragione di questo tentativo di trasformazione antropologica prima che sociale, ma è necessario che s’identifichino le tappe e le ragioni di tale essai di rivoluzione che in ultimo si manifesta come ontologica. Recentemente la giurisprudenza, in materia di gestazione per altri, si trova a dover risolvere l’enigma dei rapporti di filiazione in una coppia e fra il bambino e la gestante. Senza soffermarsi sugli aspetti economici ed etici implicati da un tale ricchissimo mercato, restiamo su di una questione sostanziale: tutto ciò sarebbe impossibile se non rimaneggiando la concezione stessa dei rapporti di filiazione.

Per affermare, e in sentenze giurisprudenziali, che “maternità è un concetto controverso”, bisogna per forza accogliere premesse che fanno comprendere come sia l’intero apparato logico-epistemologico a rischiare di andare in briciole. Non un certo paradigma, come tale sostituibile da un altro, ma la struttura stessa della ragione, la quale può solo affermare che concetti quali “genitore”, quindi “padre” e “madre” non sono, e non possono essere, concetti variabili o relativi ma sono, e indicano, una realtà precisa, invariabile, univoca, universale e naturale fra quelle che individuano l’essere al mondo di chiunque.

Siamo al mondo perché qualcuno ci ha messo al mondo, e ci ha concepito. E se pure dovessimo trovarci nella circostanza di non sapere chi o come, rimane un’evidenza, che come tale non ha bisogno di dimostrazioni, che ci sono voluti un uomo e una donna, e che una donna ci ha portato in grembo fino alla nostra nascita.

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Almeno finora: perché se gli scienziati studiano e prevedono la possibilità di ottenere, in un futuro non troppo lontano, gameti da staminali adulte riprogrammate, in modo da permettere la “paternità” a una donna o la “maternità”, almeno biologica, a un uomo, e se alcuni “bioeticisti” concorrono a ritenere perfettamente legittima e auspicabile la scissione fra genitorialità e biologia, fra concepimento e atto sessuale, al fine evidente di soddisfare un desiderio o una fantasia individuali, se la tecnica ci consentirà, al servizio di quella stessa fantasia, di oltrepassare l’ordine implicito della natura, i concetti di maternità e di paternità biologica si troveranno tramutati in opzioni e perciò applicabili agli individui indipendentemente dalla loro identità sessuata o persino dai loro gameti.

E perché non ricorrere all’autofecondazione? Ma l’identità sessuale non è un’opzione, è un dato tanto evidente che dovremmo considerare come fondamentale e indiscutibile, eppure oggi se ne discute. Ma di cosa discutiamo, in realtà? Le scienze della mente ci possono dare un aiuto in questo: un bambino non nasce (mi si trovi una prova di questo, e offro un anno di cene al suo scopritore) strutturato nell’orientamento del proprio desiderio, ma costruisce tale struttura nella relazione, nel modo e nel mondo che gli vengono offerti.

Che si nasca e cresca da e con un padre e una madre è tanto più necessario in quanto un bambino ha bisogno di crescere in una relazione fondamentalmente triadica per sviluppare non solo la propria individualità oltre la fusionalità, ma per ritrovare attraverso quel percorso (mai privo di sofferenza), nel genitore dello stesso sesso, e di fronte all’altro, la propria identità, cioè la propria verità che è anche quella di essere sessuato: il tentativo dell’ideologia gender di decostruire l’unità del soggetto psichico e della sua natura biologica mostra non un fine di ricerca della verità dell’essere umano, ma appare invece il tentativo fallimentare di giustificare la negazione della differenza, ovvero il desiderio sempre vivo di ritorno a quel momento senza dolore e senza separazione che in altri contesti sarebbe considerato gravemente patologico.

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Non solo, quindi, tali teorie sono profondamente lesive della verità della persona umana e del suo sviluppo, ma dello stesso “essere”, perché la relazione di filiazione ci dà l’indicazione di chi è stato generato da chi: e questo è un altro enorme problema che si troverebbe ad affrontare, sul piano concreto dell’essere al mondo, chi, per deliberata decisione degli adulti si trovasse a non poter sapere di sé, né della propria storia, che per essere tale non può essere monca di passato, né seguire un ordine alterato dalla manipolazione tecnica. Certo, la filiazione non è riducibile al mero dato biologico; nemmeno il diritto, finora, mette in questione, nel matrimonio, l’origine biologica: infatti, il diritto fa propria la natura SIMBOLICA della filiazione. In tal modo, un bambino non biologicamente generato da una coppia può nondi- meno crescere e identificarsi COME SE lo fosse. Ma ciò solo poiché il bambino non può che avere UN SOLO padre e UNA SOLA madre, e questi essere biologicamente un uomo e una donna.

In ciò che potrebbe sembrare un appiglio alla scissione fra genitorialità e biologia, appare invece più chiaro come una filiazione simbolica non potrebbe probabilmente mai aver luogo dove le esigenze biologiche non fossero né potessero in alcun modo essere oggettivamente soddisfatte. Ciò significa che, dove l’ordine naturale della filiazione venisse rovesciato al fine di non dover considerare l’evidenza fondamentale, ci troveremmo di fronte non solo alla revisione di un concetto, o a uno “slittamento di paradigma”, ma a una radicale negazione del reale, un vero e proprio cortocircuito perverso, necessario al fine di affermare ciò che in nessun modo potrebbe ragionevolmente essere affermato: cioè che un bambino può avere, perché altri così hanno “deciso”, due padri e nessuna madre, o due madri senza alcun padre, o (a questo punto nulla impedirebbe le più svariate operazioni matematiche) un numero imprecisato e variabile di genitori, senza la minima possibilità di vedere incarnata nella propria vita una storia che, anziché ancorarlo al mondo, lo getterebbe in un mondo immaginario nel quale nulla è reale perché tutto è possibile, ed è possibile perché lecito, e lecito perché una sentenza o una delibera, o un’idea socialmente condivisa – ma non per questo veritativa – possono confermare l’inconsistenza di uno statuto scambiato per concetto astratto, o un dato ontologico – come l’identità sessuale – con una condizione accidentale o percettiva.

Una genitorialità fondata su di un concetto astratto e variabile (irreale) anziché sullo statuto generativo proprio della coppia uomo/donna difficilmente potrà dare origine a una famiglia, ma molto più agevolmente a una fabbrica d’orfani anziché a una linea generazionale; questo il legislatore e la giurisprudenza dovrebbero considerarlo, ma essi paiono, anziché dell’interesse primario del bambino, preoccuparsi di sostenere il sogno di un’umanità “libera” perché priva della prima incarnazione della propria storia, in un mondo infantile di onnipotenza, affrancata perché orfana perfino a se stessa e alla propria natura.

Giovanni Reginato

Fonte: Notizie ProVitaottobre 2014, pp. 17-18.

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