21/11/2016

Famiglia, Stato, sussidiarietà e totalitarismo

In uno Stato sociale e democratico, laddove il concetto di democrazia sociale sia usato in un’accezione sostanziale, la famiglia e gli altri corpi intermedi hanno una rilevanza fondamentale.

Lo Stato che “serva” ai cittadini affinché possa garantire l’ordine, la pace sociale, le pari opportunità, le non ingiuste discriminazioni, deve riconoscere come preesistenti alla legge i diritti inviolabili dell’uomo, quelli naturali, scritti nella coscienza umana in ogni tempo e in ogni luogo.

Poiché, però, l’uomo è naturalmente un animale sociale, lo Stato deve riconoscere altresì i diritti delle “formazioni sociali”. Non tutte. Non le associazioni a delinquere, per esempio. Quelle  «dove si svolge la sua personalità» (art.2 Cost.). In primis la famiglia, la cui essenza pre-statuale è ribadita dall’art.29 della Costituzione.

Viene da sé, quindi, che lo Stato debba rispettare l’autonomia delle formazioni sociali e dei corpi intermedi – come la famiglia – in base al noto “principio di sussidiarietà”: l’ente maggiore interviene nella sfera dell’ente minore solo in casi eccezionali, cioè quando l’ente minore non sia in grado di gestirsi da sé.

Il principio di sussidiarietà vale (o dovrebbe valere, almeno sulla carta), tra l’UE e i Paesi membri, tra gli Stati e le Regioni, tra lo Stato e gli enti pubblici e gli enti privati, tra cui- come dicevamo prima – la famiglia.

Abbiamo visto, però, in tante circostanze che le “democrazie occidentali” oggi sono degenerate in partitocrazie, oligarchie, Stati etici che hanno conservato il nome di democrazia, ma nella sostanza sono regimi più o meno totalitari: non più lo Stato che serve ai cittadini, ma lo Stato che li usa per i suoi fini di potere.

La violazione del principio di sussidiarietà tra lo Stato e la famiglia è uno dei più evidenti segni del malessere istituzionale contemporaneo.

Assistiamo a tentativi più o meno subdoli dello Stato apparato di sostituirsi ai genitori e alla famiglia attraverso la scuola pubblica, espropriandoli del diritto di educazione dei figli (soprattutto su temi etici sensibili, come le questioni relative al sesso, all’affettività o alle tradizioni religiose).

Abbiamo visto l’esempio della Norvegia in cui i servizi sociali violano in modo plateale e indecoroso l’intimità, la libertà e l’autonomia dell’istituzione famiglia.

Però casi di cronaca riguardanti denunce da parte di genitori che si sono visti letteralmente strappare i figli dai servizi sociali e dai tribunali dei minori senza solide motivazioni di tanto in tanto se ne verificano anche qui da noi. Soprattutto quando i genitori di separano.

Quanti ragazzini – per esempio – sono stati assegnati alla comunità degli orrori del Forteto, nonostante le denunce e le condanne cui sono incorsi i responsabili?

Da ultimo ci hanno segnalato un episodio di cronaca che si trascina da qualche mese: a Torino, un bambino di 7 anni, già sofferente per la separazione non pacifica dei genitori, è stato tolto alla madre, una cittadina russa, che scrive: «Senza alcun contraddittorio il Tribunale di Torino ha disposto  un inserimento in comunità del minore “al fine di poter approfondire tutti gli aspetti dubbi in una condizione di non influenza familiare”» .

Francesca Romana Poleggi

Qui alcuni articoli  di giornale che hanno parlato del caso di Torino.


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