22/08/2014

Fecondazione eterologa e la crisi della coppia

 

La Corte Costituzionale presieduta dal magistrato Giuseppe Tesauro, con sovrana noncuranza verso il Parlamento, il popolo italiano, e i padri costituenti, non uno dei quali avrebbe sottoscritto l’idea secondo cui le figure genitoriali possono essere tre o quattro anziché due, ha recentemente sentenziato che l’eterologa è un diritto. Fallito il tentativo del ministro Lorenzin di mettere almeno alcuni paletti all’ inevitabile far west che deriverebbe dalla sentenza, la palla passa alle Camere, e, speriamo, anche al paese. Troppo importante che si apra un vero dibattito e si comprenda un po’ meglio quali orribili abissi si aprirebbero un domani procedendo in questa dissennata distruzione dell’ordine naturale.

Partiamo da quella che può essere una delle prime considerazioni che andrebbero fatte alle coppie che per desiderio di un figlio ricorressero all’ eterologa.

Verrebbe da chiedere loro, in prima battuta: siete sicuri che quel figlio che desiderate “produrre” con seme o ovociti di un terzo estraneo non sarà un domani condannato 1) a farvi soffrire e 2) a soffrire lui stesso?

Partiamo dal punto 1, cioè dalle conseguenze negative dell’eterologa all’interno della coppia, esordendo con una citazione di Carlo Flamigni, celebre alfiere della fecondazione artificiale. Nel 2002, nel suo “La procreazione assistita”, scriveva: “Molto importanti e degni di attenzione sono i riferimenti alle risonanze negative che la donazione di gameti può far nascere sia nel padre che nella coppia”.

Immaginiamo dunque il caso in cui ad essere sterile sia il maschio. Osserviamo la coppia: entrambi desiderano un figlio, ma non in modo uguale misura; uno vorrebbe attendere e provare ancora per via naturale, l’altra incalza, sino ad ottenere ciò che vuole, spesso per sfinimento del compagno. Il quale si sente in qualche modo “colpevole”, e finisce per credere che il cedere riporti la tranquillità. Con il seme di un altro uomo nascerà un “figlio” che non ha nessun legame genetico, biologico, con lui. Che non è nato da un rapporto tra l’uomo e la donna, da una vera reciprocità, ma da un gesto da cui uno dei due partner è stato escluso (non senza patirne un’ inevitabile umiliazione).

In casa la festa di rito, e capiterà di certo che qualcuno, ingenuamente, gli dirà subito: “guarda un po’, non ti assomiglia per nulla”. Mettiamo ora le prime liti, tra moglie e marito, magari proprio a causa dell’educazione del figlio divenuto adolescente: è difficile capire che il padre si sentirà in molti momenti “secondario”, e che di fronte ad una tensione con la madre, ella dimostrerà di sentirsi l’unica vera genitrice, mentre lui tenderà a farsi da parte? “Non è neppure mio figlio, tienitelo tu! Sei tu che lo hai voluto!”. Escluso dal rapporto generativo, l’uomo passa facilmente dal sentirsi umiliato, al desiderio di vendetta (sulla moglie o sul “figlio” non suo); dall’abbattimento psicologico all’affermazione della sua irresponsabilità nei confronti del non-figlio.

Possiamo davvero pensare che un figlio che non nasce dall’unione della coppia, ma da un “adulterio” in provetta, non destabilizzi i rapporti di coppia? L’equiparazione che qualcuno tenta di fare tra ricorso all’eterologa e adozione è falsa: nell’adozione si salva un bambino che c’è già; si danno dei genitori ad un bambino che non li ha più; inoltre i coniugi partono e rimangono su un piano di parità (sono entrambi esclusi dalla generazione biologica). A ciò si aggiunga che, nonostante queste evidenti differenze, l’adozione, che pure è un bellissimo gesto di generosità, è questione da maneggiare con delicatezza, senza lasciarsi guidare dal solo romanticismo: l’accesso ad essa (a differenza dell’accesso all’eterologa) prevede un controllo multiplo – psicologico, socio-economico e giuridico – e nonostante questo talora esita in un fallimento adottivo, eventualità più frequente quando il figlio è stato “voluto” con gradi di convinzione diversi.

 

Tornando all’eterologa, la sua problematicità per il rapporto di coppia è così evidente che il partito comunista propose, invano, nel 1985, a prima firma Valentina Cardioli Lanfranchi, un disegno di legge in cui l’eterologa era permessa, ma era previsto il ricorso al consultorio familiare per ovviare (e come?) ai turbamenti che possono nascere nell’uomo “in relazione al senso di impotenza, all’angoscia di castrazione, alla vergogna della sterilità”. E questo per i numerosi allarmi lanciati da psicologi, psichiatri, esperti in generale.

Sempre negli anni Ottanta, infatti, Willy Pasini, psichiatra, sessuologo e direttore del Servizio di ginecologia psicosomatica e di sessuologia di Genova, riassumeva il dibattito in corso notando che “la maggioranza degli uomini percepiscono il donatore come un rivale nei riguardi del quale i sentimenti di inferiorità, di gelosia, per non parlare di delirio di persecuzione, possono scatenarsi”; e aggiungeva che vi sono donne che desiderano “una gravidanza per se stesse, non per la coppia”: esse “sono talvolta indotte a respingere il marito una volta che siano divenute gravide o che abbiano partorito”, divenendo “di più in più allergiche e frigide verso il marito”.

Una ricerca di O. Ferraris e D. Guerrini su 49 coppie che praticavano l’eterologa in un centro di Roma prima della legge 40/2004, rivela che “non è raro il caso di uomini in cui l’inferiorizzazione aumenta all’idea di una gravidanza da eterologa vissuta nei termini psicologici di una infedeltà coniugale: il 40% degli uomini intervistati non desidera essere presente alle applicazioni; analogamente il 37% delle donne non desidera che il marito lo sia”. Come inizio non c’è male!

Si potrebbero aggiungere tanti altri fatti: la presenza invisibile del donatore, nell’immaginario dell’uomo (come rivale) e della donna (come salvatore, ma anche come intruso); la conflittualità, rilevata nello studio sopra citato, all’interno di varie madri, tra il “desiderio del figlio e il rifiuto – conscio o inconscio – dell’inseminazione artificiale” (conflittualità psichica che sfocia persino in alterazioni ormonali, nel verificarsi di cicli anovulatori non presenti in precedenza, in sogni in cui il figlio potenziale tanto desiderato, viene respinto…).

Oppure si potrebbero citare almeno altri quattro fatti che dimostrano che il riconoscimento nel figlio dei propri tratti biologici (riconoscimento negato a uno dei due genitori nell’ eterologa) non è affatto secondario e ininfluente, come sostengono invece i fautori dell’eterologa stessa. Il primo: tante coppie ricorrono alla fecondazione artificiale omologa, anziché all’adozione, proprio per avere “un figlio tutto nostro”. Il secondo: sin dal principio le banche del seme, per “rispondere” evidentemente ad una domanda esistente, e per provare a tamponare il fenomeno dei disconoscimenti paterni, hanno proposto anche la possibilità di selezionare seme con caratteristiche il più possibile simili a quelle del padre “sociale”. Il terzo: è già accaduto che donne ricorse alla fecondazione artificiale omologa, siano rimaste incinte per errore con il seme di un altro uomo (eterologa involontaria), e siano ricorse all’aborto per eliminare il nascituro (Corriere della sera, 11/12/2009). Il quarto: oggi, nei cosiddetti matrimoni gay, i due maschi che ricorrono ad ovulo e utero di donne estranee alla “coppia”, di norma mescolano il loro seme, affinché non sia chiaro quale dei due gay sarà il padre biologico, e non si creino quindi contrasti all’interno della coppia (essendo uno dei due uomini “genitore” per la legge, ma un semplice conoscente, per natura).

Proviamo ora a immaginare la situazione in cui sia la moglie ad essere sterile e si debba ricorrere all’ovulo di un’estranea. Difficile non capire che anche in questo caso si affacciano analoghi problemi: la possibilità che la donna si senta forzata dall’uomo, e non rispettata nella sua infertilità o sterilità; che viva un rapporto ambiguo con la madre biologica e con il figlio-non figlio…

A ciò si aggiunga almeno il fatto che la donna che ricorre ad ovuli altrui “non ha le condizioni per portare avanti una gravidanza, dunque deve sottoporsi a cure ormonali pesanti…con tutti i disagi e i rischi che ciò comporta”, mentre la donna che fornisce l’ovulo, se legata da parentela o da amicizia, interferisce nella famiglia adottiva in modo disastroso: “malgrado la migliore buona volontà sembra impossibile per la donatrice star lontano dal bambino nato da quel pezzetto di sé che è andato a crescere altrove. Tutte le esperienze in proposito dicono la stessa cosa: la donatrice si fa viva sempre più spesso nella famiglia del bambino, critica, consiglia, toglie autorità alla madre sociale. Un disastro” (Carlo Flamigni-Vegetti Finzi, in Volere un figlio; Carlo Flamigni, in Avere un bambino)

Per concludere questa breve analisi sul primo punto (gli effetti negativi sul rapporto di coppia indotti dall’eterologa), si può ricordare che una delle coppie che aveva promosso la battaglia per la fecondazione eterologa, arrivata alla Corte Costituzionale, al momento della sentenza (aprile 2014) non era più tale: i due si erano separati! In un prossimo articolo verrà trattata la sofferenza dei “figli dell’ eterologa ”.

Francesco Agnoli

Il Foglio del 22.08.2014

 

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