07/09/2016

Fertility Day e politiche per la famiglia

Polemiche a parte [la maggior parte pretestuose, ma alcune critiche sono anche fondate, in parte, NdR], il Fertility Day, la campagna promossa dal Ministro della salute Beatrice Lorenzin «per invitare a far figli il prima possibile» (con cartoline poi ritirate), ha avuto il merito di riaccendere i riflettori sul tema sensibile della denatalità.

Aspettando che il solito polverone ideologico sollevato per l’occasione si depositi, si potrà iniziare ad avviare una discussione seria e serena sull’argomento.

Proviamo dunque a guardare al Fertility Day allargando lo sguardo alla crisi economica e all’insufficienza delle politiche familiari e della denatalità.

Varie e sedimentate sono le cause dell’inverno demografico italiano, inverno che, iniziato già alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, si è accentuato in particolare negli ultimi 7 anni in coincidenza con la difficile congiuntura che affligge il nostro Paese. Da un punto di vista economico lo si dovrà senz’altro mettere in parallelo con il dato della disoccupazione giovanile in costante crescita, fino a toccare il record del 39% quest’anno, secondo le ultime rilevazioni ISTAT. Uno studio del MPIDR (Max Planck Institute for Demographic Research) sui valori di natalità in Europa nell’ultimo decennio rilevava nel 2013 che il netto calo dei tassi di natalità è in diretta correlazione con il tasso di disoccupazione: più il tasso di disoccupazione è aumentato, maggiore è stata la diminuzione della natalità. In particolare, esso risulta direttamente connesso a fattori quali le politiche della famiglia e la sicurezza del lavoro, come dimostra il caso dell’Europa meridionale dove i tassi di natalità sono molto più colpiti dall’aumento della disoccupazione rispetto all’Europa settentrionale (si veda qui).

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Le preoccupazioni dei giovani e delle giovani coppie per il loro futuro, a fronte di una situazione lavorativa precaria, rappresentano un ostacolo grande. La crisi ha, quindi, inciso fortemente sulla denatalità, ritardando ulteriormente l’età dei matrimoni e, quindi, del primo figlio e limitando, al contempo, il progetto di un eventuale secondo o terzo figlio.

Gli anni giovanili, più propizi per la riproduzione (in termini strettamente biologici), sono necessariamente distratti e impiegati nello studio e nella ricerca di un lavoro che dia stabilità economica. Quando poi la si raggiunge, bisogna fare i conti con la difficoltà di conciliare i ritmi lavorativi con le incombenze familiari, che sono già per una coppia senza figli notevoli. Pertanto, la decisione di avere un figlio viene posposta sempre più e, quando matura, non incontra un terreno sociale e culturale favorevole.

Le famiglie sono lasciate sole con le loro difficoltà e, all’interno delle famiglie, sono soprattutto le donne a pagarne le spese. È difficile conciliare la maternità con il lavoro in una società che sembra apprezzarne solo in parte la fondamentale e basilare funzione sociale. Il costo materiale di un bambino è oneroso, il prezzo degli asili-nido non è per tutti sostenibile. Mentre la Francia prevede il 3,5% del PIL per le politiche familiari e la Germania il 3%, l’Italia spende solo lo 0,9%. Non solo; di fatto le famiglie con figli sono sempre più tartassate da una pressione fiscale sempre più angustiante, limitante, opprimente.

Il bonus bebè, istituito dalla Legge di Stabilità 2015 (articolo 1, legge n. 190/2014) per le famiglie numerose (ovvero con un numero di figli minori pari o superiore a quattro) con una situazione economica corrispondente a un valore ISEE non superiore a 8.500 euro annui, anche se apprezzabile, conferma la mancanza di una più generale riforma fiscale basata sul “fattore familiare”. Soprattutto non si vede riconosciuto, e questo è dovuto a motivazioni profonde, ideologiche, il ruolo decisivo delle famiglie con figli a livello sociale. Non se ne apprezza il ruolo di cardine dello sviluppo dell’economia. Manca un’attenzione diretta alla famiglia nelle politiche assistenziali, fiscali e socio-sanitari. Un pregiudizio individualistico porta a considerare l’anziano, il bambino, le donne, il disabile, fuori e a prescindere dal contesto familiare in cui vivono e indirizza in modo conseguente le risorse.

Sono, in definitiva, più che mai necessarie politiche che permettano di fare scelte familiari e riproduttive: politiche della casa favorevoli alle giovani coppie, politiche fiscali che computino il carico dei figli, politiche dei servizi che risolvano, in particolare, l’annosa questione della mancanza di asili-nido. La famiglia non può essere astrattamente valutata, ma deve essere aiutata, agevolata, sostenuta negli eventi critici che la caratterizzano, in considerazione dei bisogni concreti che intervengono nella sua naturale evoluzione: gravidanza, maternità, vedovanza, disabilità, disoccupazione etc…

La scelta di avere un figlio deve essere tutelata, salvaguardata, garantita, come un diritto fondamentale.

Clemente Sparaco

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