09/06/2018

“Figli” alle coppie omosessuali: la rivoluzione dei sindaci

Dopo l’eclatante caso di Torino – dove il sindaco Chiara Appendino lo scorso aprile aveva riconosciuto un bambino quale “figlio” di “due mamme” – Gabbice Mare e Roma, come preannunciato eccoci a Milano: anche qui i figli diventano oggetto di “diritti”. Il sindaco Giuseppe Sala ha infatti attribuito la doppia maternità in favore di nove coppie lesbiche e ha annunciato di voler procedere così verso un’altra trentina di coppie omosessuali.

Per rimanere al passo, a Firenze il sindaco Dario Nardella ha dichiarato di essere pronto «al riconoscimento dei “figli” di coppie omosessuali attraverso la trascrizione nei registri dell’anagrafe con l’indicazione di tutti e due i “genitori”» [le virgolette sono nostre. Finché ne avremo la libertà, continueremo a sottolineare che quelle creature non sono figli di coppie omosessuali, ma figli – al massimo – di uno solo dei due. E’ la realtà. L’amante del genitore non è né sarà mai né mamma né papà]

Lo stesso accade al comune di Rovereto, in provincia di Trento: riconoscimento di una bimba nata l’anno scorso in Belgio e ora “figlia” di due madri. Alexander Shuster, avvocato delle due donne, ha dichiarato: «Ero fiducioso che, dopo gli inevitabili approfondimenti tecnici, la città della Quercia sarebbe giunta a rispettare la nostra Costituzione e il diritto italiano».

Viene da chiedersi quanto siano stati ragionati questi approfondimenti, dal momento che nella Costituzione italiana campeggia un certo art. 29 che riconosce «i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Non occorre un grande sforzo per capire che, alla  luce di questa norma, nel nostro ordinamento non c’è spazio per alcuna “genitorialità omosessuale”: i figli nascono da un uomo e una donna. Ma il problema è proprio questo: ormai di “natura” non vuol sentir parlare più nessuno; neanche se la parola è stata inserita in Costituzione al chiaro scopo di evidenziare che «lo Stato non crea i diritti della famiglia, ma li riconosce… perché la famiglia ha dei diritti originari» (Lavori Preparatori, p. 68). Ora, se la famiglia è una comunità originaria, i cui diritti sono antecedenti allo Stato (che, del resto, senza l’aggregazione di famiglie non potrebbe esistere), dove affonda le sue radici, se non nella natura?

Attenzione, non stiamo parlando del rousseauiano (e mitologico) stato di natura del buon selvaggio, ma dell’ordine che governa le relazioni sociali in vista del bene comune, e quindi secondo ragione. In quest’ottica è fin troppo banale osservare che secondo l’ordine naturale non esistono “famiglie omosessuali” (rendiamo merito al ministro Fontana), perché l’unica unione in grado di immettere nuovi membri nel corpo sociale è quella tra uomo e donna. La “famiglia omosessuale” è un’invenzione dello Stato post-moderno che non ammette altro diritto se non quello positivo, e dove la giustizia è alla mercé della maggioranza.

Ecco perché è bene fare attenzione a non invocare la legge sulle unioni civili o la legge sulla fecondazione artificiale per imputare ai sindaci “rivoluzionari” una condotta ingiusta. La circostanza che per la prima non sia prevista la doppia genitorialità omosessuale, o per la seconda sia vietata la fecondazione eterologa omosessuale, è puramente accidentale e irrilevante. L’operato di questi sindaci è contra legem perché, prima ancora, è contra naturam; non certo perché in antinomia con due leggi intrinsecamente ingiuste e quindi, per diritto naturale, inesistenti. Il mondo intero è pronto a riconoscere una giustizia originaria e sovralegale quando si tratta di condannare le leggi razziali; tutti giusnaturalisti improvvisati che spariscono quando bisogna difendere l’istituzione naturale per eccellenza contro gli attacchi dell’ideologia.

Certo, il contrasto con le due leggi sopra citate è la spia di un ammutinamento sempre più diffuso, che mostra quanto ormai l’ossessione omosessualista abbia invaso le istituzioni e fino a che punto sia capace di condizionare coloro che le occupano, spingendoli fino alla disobbedienza civile. Perciò occorre reagire con sempre più fermezza di fronte a questi episodi, rivendicando il diritto dei figli a crescere con un padre e una madre, come impongono la natura e il più semplice buon senso.

Vincenzo Gubitosi

Fonte: La NBQ

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