03/09/2015

Gender fluido o valorizzazione delle differenze sessuali?

Gli effetti sociali della diffusione della ideologia gender si possono già riscontrare sugli uomini d’oggi: soggetti spesso insicuri, alla ricerca della virilità.

Viviamo in una società disorientata, vittima di una generale confusione d’identità che ha portato enormi problemi sul piano sociale, economico, politico, ma soprattutto educativo. La questione è sotto gli occhi di tutti: quante sono le persone che sanno rispondere con sicurezza agli interrogativi: ‘Chi sono?’ e ‘Qual è il mio ruolo nella società?’.

Gli esiti? Uomini insicuri, deboli, in continua ricerca dell’approvazione altrui, incapaci di reagire ai problemi con polso, non presenti in maniera adeguata nell’educazione dei figli; e donne troppo spesso costrette ad assolvere compiti maschili – senza ovviamente poter delegare quelli femminili – e insoddisfatte della loro vita relazionale, affettiva e sessuale, nella quale si sentono poco amate e desiderate.

Lo scenario non è dunque roseo. Tuttavia la soluzione non risiede, come il gender mainstreaming vorrebbe farci credere, nell’annullamento acritico delle differenze sessuali, bensì in un recupero autentico delle caratteristiche proprie del sesso maschile e del sesso femminile.

Esattamente in questa direzione si è mosso Roberto Marchesini che, oramai qualche anno fa, ha dato alle stampe un libro specificatamente dedicato alla categoria maschile, dal titolo: Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità (Edizioni SugarCo).

Nel testo lo psicologo e psicoterapeuta analizza il fenomeno emergente della crisi dell’uomo, inteso come maschio, che appare spesso “[…] debole, stanco, demotivato, passivo, solo. E triste. […] È una crisi della virilità. Intesa come disponibilità a rischiare la vita per salvarla, per salvare l’onore (cioè la dignità umana), per la fedeltà ai propri valori; intesa come assertività, coraggio, fortezza. […] La crisi della virilità è per l’uomo una crisi d’identità: egli non sa più chi è, come è, come dovrebbe essere e come lo vogliono gli altri. Ci prova ad accontentare tutti, ma non funziona: sembra che nessuno sia contento di lui. E questo lo fa soffrire” (Op. cit., pp. 12-13).

Questa crisi della virilità pone le radici sul finire dell’Ottocento. Sulla scorta della Rivoluzione francese e delle diverse ondate del Femminismo, “seguendo gli assiomi (tipicamente femminili) del dialogo a ogni costo e del rifiuto degli estremismi, l’uomo ha dimenticato la sua relazione complementare con la donna, e ha cominciato a credere alla dialettica tra i sessi, nella quale a lui spetta il ruolo di cattivo. È nato così l’uomo ‘pentito’ che, solo perché è un uomo, chiede scusa alle donne e alla società per colpe che non ha commesso; e lo fa a nome di tutti gli uomini, senza che nessuno glielo abbia chiesto o lo abbia autorizzato. L’uomo pentito aborre ogni caratteristica virile, e fa di tutto per disfarsene: si depila e ammorbidisce la pelle, marca la linea degli occhi, cerca il compromesso a ogni costo, persino a scapito dei princìpi, diventa incapace di un ‘no’, di difendere la verità, gli altri, se stesso” (p. 39).

Eppure questa non è l’ultima parola. Tornare a essere uomini e donne è possibile, anzi è doveroso.

Infatti Marchesini, come in ogni buon manuale, propone un decalogo di “indicazioni, il più possibile concrete, per aumentare la consapevolezza della propria virilità” (p. 93). Sono consigli apparentemente scontati – che vanno dal coltivare le amicizie maschili, a esprimere se stessi, a smettere di autocommiserarsi – ma che possono aiutare gli uomini a tornare a essere tali. Con gradualità, ovviamente, ma con virile tenacia e il coraggio.

Giulia Tanel

 

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