18/03/2016

Genitori adottivi, panda, e potere della neolingua

A proposito di genitori adottivi e falsi miti ideologici: forse è vero, Adinolfi esagera un po’ a criticare Kung Fu Panda “in sé”, ma l’interpretazione che molti ne danno è molto criticabile.

In questi giorni sta tenendo banco la lite radiofonica fra Fabio Volo e Mario Adinolfi a proposito del cartone animato “Kung-fu panda 3” conclusasi a suon di insulti e sedie lanciate contro il muro dal conduttore radiofonico (nonché scrittore di successo).

Di fronte alle affermazioni di Adinolfi :“Nessuno ha due papà; meno che mai un papà adottivo sostituisce una mamma; il fatto che nel cartone animato tutto sia ‘carino’ e inattaccabile è un problema in più, non un problema in meno”, Volo ha perso la testa.

Della presenza di messaggi subliminali o negativi in diversi cartoni animati della Pixar, o Disney, o della Dreamworks, si è parlato recentemente.

A prescindere dall’opportunità o meno di montare polemiche sulla presenza di due maschi nel cartone uno dei quali è genitore biologico e l’altro funge da genitore adottivo (la storia è più complicata e il messaggio che passa non è del tutto negativo, comunque abbastanza lontano da una pura “finzione” di adozione omosessuale, vedi ad esempio qui) è interessante mettere in evidenza la solita strumentalizzazione ideologica che c’è stata dietro la questione.

Sono indubbiamente interessanti e degne di attenzione le sottili argomentazioni con cui Volo tentava di far ragionare il “troglodita” Adinolfi. Con buona pace della storia del film, la lite è stata tutta incentrata sulla possibilità dell’esistenza di due padri. Non è tanto la solita trita argomentazione di stampo pseudo-teologico sulla contemporanea presenza di due padri nel caso di Gesù portata avanti da Volo (sulla stessa linea di tanti altri emeriti ignoranti in questioni scritturistiche) ad avermi colpito, quanto l’insistenza con cui Volo voleva mettere l’accento sulla dignità genitoriale dei padri adottivi rispetto a quelli biologici. Tale dignità basterebbe di per sé a giustificare un doppio ruolo paterno che ormai tante coppie dello stesso sesso si attribuiscono in presenza di bambini che vivono con loro.

Se Fabio Volo è andato letteralmente in bestia di fronte all’affermazione di Adinolfi “nessuno ha due padri” è perché, secondo lui, si stava negando una dignità genitoriale ai padri adottivi, che non sarebbero meno padri di quelli biologici, in quanto la paternità non ha bisogno di essere legata alla biologia se è accoglienza, amore e presa di responsabilità verso un figlio.

È vero. Un padre adottivo è meno padre di uno biologico? Ovviamente la risposta è no, e infatti Adinolfi ha risposto che “i padri adottivi sono eroi”. Ma il punto fondamentale, che Fabio Volo e tutta il gota intellettuale nostrano fermamente schierati nel difendere i “nuovi diritti” in materia di genitorialità dimenticano, è che il padre adottivo esiste ed ha senso di esistere solo ed unicamente per supplire la mancanza di quello biologico. La contemporanea presenza di un padre biologico e di un fantomatico padre adottivo è una stonatura e un non senso carico di opportunismo.

L’argomentazione di utilizzare la generosità di chi offre la propria vita e il proprio tempo per accogliere un orfano o un bambino abbandonato per giustificare la mancanza programmata e voluta di una delle due figure di riferimento o addirittura per dare una parvenza di amore e generosità anche nel caso di bambini comprati con l’utero in affitto è non solo fallace dal punto di vista logico ma profondamente in malafede.

L’impressione è che ormai si stia facendo un pericoloso equilibrismo fra biologia e spiritualità, fra genetica e sentimenti in cui, da una parte per attribuirsi la paternità di un figlio ottenuto tramite utero in affitto si pone l’accento sul patrimonio genetico dato dal seme che ha fecondato l’ovulo impiantato nell’utero della madre surrogata e dall’altra ci si barcamena su strane affermazioni in cui la genitorialità non ha bisogno di legami biologici ma si esprime pienamente nella capacità di dare amore.
Il tutto al solo fine di potersi sentire papà o mamma per diritto acquisito o per entrare in un magico mondo moderno e allo stesso tempo surreale in cui ormai i figli si partoriscono con la testa (Giuseppina la Delfa) o due donne hanno messo al mondo un bambino entrambe perché l’hanno voluto entrambe e pertanto sono le sue mamme (F. Pardi, perché hai due mamme).

Il punto di partenza di ogni argomentazione logica che possa sfociare in un dialogo costruttivo è il dato di realtà da cui non si può prescindere.

Se si nega il presupposto di realtà o lo si camuffa inventandosi neologismi o mescolando concetti che per loro natura stanno su piani diversi, ogni forma di dialogo viene di conseguenza compromessa e si finisce inevitabilmente ad insulti o sedie scagliate contro i muri.

Allora si discuta pure di situazioni in cui un figlio si trova a crescere con due adulti dello stesso sesso, ma la si smetta una buona volta di chiamarli le due mamme o i due papà. Si chiamino e si indichino per quello che sono: la mamma e la sua compagna, il papà e il suo compagno.

La neolingua peraltro si insinua nella mente delle persone in maniera sempre più pervasiva e sempre più spesso capita di sentire persone che in buona fede dicono “quel bambino ha due mamme/due papà”. Tutte le discussioni in cui ho fatto presente al mio interlocutore l’irrazionalità del concetto di “due mamme/due papà” e ho riportato la discussione sul piano “papà/compagno di papà o mamma/compagna di mamma” il dialogo è continuato in maniera serena anche se a volte le divergenze non vengono sanate. Se l’interlocutore non è più in grado di fare un passo indietro e di ritrovare il senso di realtà la discussione inevitabilmente prende pieghe violente.

La fandonia delle due mamme o dei due papà imposta a un bambino in tenera età dura solo il tempo fino a cui il bambino inevitabilmente si scontra con la realtà, e allora chiederà conto e si interrogherà della mancanza di una delle due figure, soprattutto se questa è stata programmata e voluta. Che siano i bambini accolti (ripeto, accolti) ad attribuire e dare la dignità di genitori o a chiamare padre o madre gli adulti che li hanno presi in carico e non gli adulti ad auto-attribuirseli sulla base di fumosi sentimentalismi per soddisfare le loro pretese o i loro desideri più o meno leciti.

Ferdinando Costantino

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