03/02/2019

Giornata per la Vita, la De Mari: «Medici diano la vita, anche se il paziente vuole la morte»

Silvana De Mari è una paladina pro life a 360 gradi. Ha usato e usa i suoi talenti e le sue abilità professionali per difendere la sacralità della vita, sia come medico, che come saggista e autrice di romanzi. Al tema dell’aborto ha dedicato due libri di genere fantasy: L’ultimo orco e Hania. In entrambe le opere, le rispettive protagoniste rimangono incinte a seguito di uno stupro ma scelgono comunque di dare alla luce i loro bambini e di amarli. Come medico, la De Mari si è battuta per la vita dei suoi pazienti, anche quando questi chiedevano di morire. Alla vigilia della 41° Giornata per la Vita, Pro Vita è tornata a parlare con la dottoressa De Mari, per fare un punto sul dibattito attuale.

De Mari, perché è così importante dedicare una giornata al diritto alla vita?

«Viviamo in una cultura di morte che, da un secolo a questa parte, ha conosciuto diversi passaggi. Alcuni di questi li abbiamo identificati con estrema chiarezza: le teorie sulla razza, il comunismo con il suo odio per la classe borghese, gli odi etnici, ecc. Altre declinazioni di questa cultura di morte sono più sottili. Una di queste è stata la definizione di salute stabilita dall’Oms nel 1948: non più una semplice mancanza di malattia ma una condizione di assoluto benessere fisico, mentale e sociale. La conseguenza di questo è stata una violazione della regola prima della medicina che è non nuocere. Una persona può affermare che il suo benessere mentale passi per l’amputazione di un arto, altri soffrono di quello che oggi si chiama disturbo dell’identità corporea, che desiderano ardentemente essere amputati, altri ancora vogliono un cambiamento di sesso, oppure il suicidio. Anche l’aborto è una forma di suicidio: è l’espressione di un popolo che sta distruggendo i suoi figli nel ventre delle loro madri. Siamo riusciti a convincere le donne a rinnegare quello che è il più potente istinto relazionale che esiste in natura: l’istinto materno. Nel momento in cui una donna sente di voler abortire, il suo bambino esiste. E nel momento in cui questa donna trova una società accondiscendente a questo suo desiderio che, in realtà, è un desiderio suicida, distrugge la propria proiezione nell’eternità.
Molti pensano all’aborto come a una sorta di macchina del tempo, a qualcosa che le porta indietro, a prima di essere incinte, come se la gravidanza non fosse mai esistita. Ma questa è un’illusione. La gravidanza è avvenuta. Nel momento in cui la gravidanza inizia, la donna non ha più la scelta se essere madre o non esserlo. L’unica scelta è tra essere madre di un bambino vivo o di un bambino morto. Ma è madre. Sarà per l’eternità madre di quel bambino morto».

Perché la società attuale incoraggia questa cultura della morte?

«Molti si battono per il diritto di una donna di uccidere il bambino nel proprio grembo, perché – pensano – altrimenti non sarebbe stato voluto. Eppure, nella storia, il 90% delle creature umane non sono state all’inizio volute ma poi sono state amate e, anche se non fossero state amate, la loro vita è stata ugualmente preziosa. Molti se la sono cavata benissimo anche senza essere amati. C’è in tutto questo l’idea che la vita sia fondamentalmente scadente e che possa essere desiderabile solo se perfetta. Gli effetti collaterali dell’aborto sono sotto censura, eppure gli effetti psicologici sono devastanti. Ci sono momenti in cui, per la madre, quella vita che non è stata messa al mondo è un macigno. Ci sono effetti fisici che sono ampiamente sottovalutati, a partire dalla sterilità. C’è poi il cosiddetto “aborto terapeutico” che in realtà è un aborto eugenetico: mio figlio è menomato quindi lo abortisco anche al quarto o quinto mese, dopo aver trovato lo psicologo compiacente. Ci sono bambini che vengono abortiti al quinto mese perché concepiti col labbro leporino. Sempre al quinto mese, fu abortito un bambino che poi sopravvisse parecchie ore fuori dall’utero. Il motivo: una sospetta atresia all’esofago mai confermata. Eppure sia l’atresia all’esofago che il labbro leporino sono curabili chirurgicamente. L’augurio è che donne in queste situazioni, si trovino di fronte un medico serio che dica loro: “Signora, questo è il suo bambino, gli vorrà bene lo stesso, anche se non è perfetto”».

Una decina di giorni fa, nello stato di New York, è stato approvato l’aborto fino al nono mese…

«Il punto fondamentale è: per quale motivo vogliono consentire l’aborto oltre il sesto mese? L’aborto è sempre l’assassinio del proprio figlio ma, fino al sesto mese, è l’unico modo che la madre ha per entrare in possesso del proprio utero. Dal sesto mese in poi diventa un atto omicida deliberato. Dal quinto mese in poi l’aborto si effettua inducendo il parto. In questo modo, però, il bambino può nascere vivo, essere messo in incubatrice e dato a una coppia adottiva. Se si vuole ucciderlo, ci sono due sistemi: il primo è l’aborto a nascita parziale, che è terrificante. L’altro è quello della puntura cardiaca intrauterina sotto controllo ecografico. Questo però non preserva assolutamente la salute della donna, anzi, la espone a rischi. Ricordiamoci, inoltre, che i tessuti fetali hanno un loro valore sul mercato dei tessuti da laboratorio».

È stata recentemente depositata una proposta di legge popolare per la legalizzazione dell’eutanasia. Come opporsi a questo?

«Spesso, nella nostra vita, possiamo vivere periodi in cui ci sentiamo meno forti, meno vitali, ma sono periodi che poi si superano. Mi è capitato di seguire pazienti terminali, che mi dicevano: “Voglio morire”. Io facevo finta di assecondarli, perché quando un paziente dice così, in realtà, intende: “Piuttosto che stare da schifo come adesso, meglio morire”. Vuol dire: “Fate qualcosa di meglio per curarmi, fate qualcosa di meglio per consolarmi perché, sennò, è meglio morire”. Ma quel paziente non vuole morire, vuole essere consolato. Bisogna potenziare le cure palliative, sono stati fatti grandi progressi in questo ambito. E soprattutto l’eutanasia è una strada di non ritorno. I pazienti a cui noi medici abbiamo fatto lavande gastriche per aver ingerito sostanze tossiche, ci mandavano al diavolo, perché volevano morire: già qualche giorno dopo questi pazienti sono tornati a ringraziarci. La volontà umana va rispettata ma – attenzione – non è un monolite, è un riflesso di luce sull’acqua, è qualcosa che cambia di momento in momento. La medicina, a causa di quella dichiarazione dell’Oms, ha contraddetto il suo primo fondamentale ordine: non nuocere. Se contraddiciamo questo primo ordine, smettiamo di essere medici e diventiamo altro…».

Luca Marcolivio

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