24/01/2018

Il Forteto e l’ideologia anti – famiglia a Matrix

I nostri Lettori più affezionati conoscono la (brutta) storia del Forteto, comunità di abusi e di orrori sui minori e sui disabili che venivano strappati alla famiglia e violentati fisicamente e psicologicamente da Rodolfo Fiesoli e compagnia bella.

ProVita, appena nata, ha lanciato una delle sue prime petizioni – che poi è stata presentata alle autorità competenti – per chiedere chiarezza sulla vicenda e per preservare i minori da ulteriori abusi, restituendoli – ove possibile – alla famiglia. 

Ma la politica ha sempre  coperto Fiesoli e gli altri. Eugenia Roccella torna sull’argomento, dopo che è stato oggetto di una puntata di Matrix.

Il Forteto, la sinistra e l’ideologia anti – famiglia

La storia del Forteto è nota: una comunità chiusa, con le tipiche ed evidenti connotazioni della setta basata su regole assurde, abusi e maltrattamenti; un capo, Rodolfo Fiesoli, violento e prevaricatore, che si proponeva come Dio in terra, tanto da intimare a un ragazzo spastico in carrozzella: “alzati e cammina” (e naturalmente il ragazzo cadde). Fiesoli era culturalmente rozzo, esibizionista, chiaramente poco affidabile come educatore, e inoltre aveva già scontato una condanna per abusi sessuali quando il giudice Meucci gli affidò il primo bambino down; eppure per tanti, tanti anni (più di trenta), il Forteto fu circondato da una protezione politica e istituzionale compatta, che si è sgretolata solo di fronte all’evidenza terribile delle testimonianze e alla lunga lotta dei ragazzi abusati e maltrattati, e dei loro genitori, per avere giustizia.

A fine dicembre le condanne sono state confermate dalla Corte di Cassazione, e  una bella puntata di Matrix ha dato voce a qualcuno di questi ragazzi ormai cresciuti, provando anche a intervistare chi ha coperto, e a volte promosso, il “modello educativo” di Fiesoli e compagni. Quasi tutti si sono sottratti, e chi ha risposto ha cercato disperatamente di sminuire le proprie responsabilità. Ma, a partire dai deputati di quel collegio, come Di Pietro, fino ai vari presidenti della Regione Toscana che si sono succeduti negli anni (Claudio Martini, Vannino Chiti, e ora Rossi), le responsabilità sono evidenti, anche se sono solo morali e non sanzionate dalla legge.

Perché tutto questo è potuto accadere? Perché intellettuali, politici e magistrati, non hanno voluto vedere, e hanno dato credito a un personaggio palesemente inadeguato e inquietante? E’ semplice: per motivi squisitamente ideologici. Fiesoli denigrava la famiglia naturale, la considerava come il luogo di tutti i mali, promuoveva (meglio dire imponeva) l’omosessualità, teorizzava la “famiglia funzionale”, cioè una non famiglia, e tutto questo piaceva alla sinistra del Mugello, che Guareschi avrebbe definito trinariciuta. Il processo del 1978 che portò alla prima condanna era stato istruito da Carlo Casini, un cattolico, quindi i trinariciuti si convinsero subito che si trattava di un errore giudiziario, anzi, dell’accanimento di un procuratore bigotto contro l’esponente di un modello educativo nuovo e anticonformista. Quindi, tutti lì a glorificare Fiesoli, a fornirgli patenti culturali, a inondarlo di finanziamenti; e tutti lì i politici: il passaggio al Forteto era un classico delle campagne elettorali della sinistra.

Oggi tutti si nascondono, negano, minimizzano, qualcuno (pochi, per la verità) ammette l’errore e si scusa. Ma nessuno mette in discussione le proprie convinzioni ideologiche, di fronte a quei bambini ormai cresciuti che hanno dovuto rinnegare i propri genitori, essere sfruttati e maltrattati, subire angherie e abusi. Nessuno che dica: ho sbagliato, non ho voluto vedere la verità perché l’ideologia mi ha accecato, perché credevo nelle teorie dell’anti-famiglia (come le chiama Cristopher Lasch), nella sperimentazione di modelli educativi che rompessero la tradizione (vedi il progetto “Barbiana e il Mugello, una scuola per l’integrazione”, fatto dal Forteto, costruito con l’università di Firenze, associazioni del privato sociale sulla disabilità, e la comunità montana), in pratiche di “analisi selvaggia” come le confessioni in pubblico. No, questo non lo dirà mai nessuno.

Eugenia Roccella

Fonte: L’Occidentale


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