07/08/2013

Il mercato dei figli, seconda puntata: il traffico russo

Seconda parte dell’inchiesta di Avvenire sugli uteri in affitto 

A tutta prima si ha l’impressione che si parli di una compravendita di bovini o di pesci rossi. Si parla di costi, di compensi, di termini di consegna... Uno si accorge che non si tratta di bovini o pesci rossi quando incominciano ad affiorare certe terminologie e si incomincia a parlare di “utero in affitto” e di “maternità surrogata”.

Si tratta di bambini, per così dire, prenotati e pagati. Una donna mette a disposizione il suo utero per ospitare un feto di altra provenienza per conto dei genitori naturali che non possono, o non vogliono, avere figli, e ai quali poi devono consegnare il neonato. La pratica si sta diffondendo, anche in Europa. Dove questo tipo di commercio diventa sempre più fiorente nei Paesi ex comunisti, soprattutto in Russia e Ucraina, ma anche in Polonia e Romania.

In Russia la materia è regolata da una legge entrata un vigore il 1° gennaio 2012, che ha ridotto – ma non eliminato – l’area clandestina che caratterizzava questo tipo di attività. Sotto il titolo «Basi della protezione della salute dei cittadini della Federazione russa», la legge al punto 10, articolo 55, spiega che «madre surrogata può essere una donna dai 20 ai 35 anni che abbia almeno un figlio sano proprio, che dimostri con una documentazione medica il buono stato della sua salute. Una donna sposata può essere madre surrogata solo col consenso scritto del marito». La legge federale stabilisce in particolare che non ha più importanza lo stato di famiglia di coloro che si servono di questo metodo: a servirsi di madri in affitto possono essere coppie sposate, madri sole e anche uomini soli che possono “affittare” il grembo di una donna, mentre vige formalmente il divieto per le coppie gay.

La legge ucraina sulla «Protezione della salute» è entrata in vigore il 1° gennaio 2013 e stabilisce che la donna maggiorenne alla quale si applichino «tecnologie ausiliarie di riproduzione», compresa la maternità surrogata, non debba vere più di 51 anni. Condizione per la maternità surrogata è il legame genetico del bambino con almeno uno dei futuri genitori e l’assenza di un rapporto genetico immediato del bambino con la madre surrogata. Una differenza rispetto alla Russia è che la coppia che richiede la maternità surrogata deve essere obbligatoriamente sposata. Qualora non lo sia, può sempre andare in Russia.

In Russia e Ucraina le condizioni alle quali una donna può mettere a disposizione il proprio utero per una gravidanza affittata sono simili a quelle di altri Paesi (una transazione economica, un contratto da rispettare, la consegna al parto) ma con una particolarità: nell’area ex sovietica la pratica della “maternità surrogata” pesca nella vastissima area della povertà nella quale versano milioni di donne. Molte di loro sono disponibili a condurre la gravidanza di un figlio non loro concepito in vitro semplicemente per avere una qualunque fonte di reddito. E la maternità surrogata diventa una nuova forma di sfruttamento.

La Russia e l’Ucraina si trascinano dietro problemi dell’epoca sovietica, primo tra tutti la crisi degli alloggi. Si costruiscono faraonici palazzi per gli oligarchi, ma la gran parte della popolazione vive ancora in case fatiscenti e piccole, prive di molte comodità. Di questa emergenza approfittano organizzazioni malavitose che propongono a giovani donne di prestarsi a fare la madre surrogata in cambio di denaro che permetta di affittare un’abitazione. I cittadini russi o ucraini che ricorrono a una madre surrogata devono sborsare da 600mila a un milione e mezzo di rubli, una somma rilevante.

Emblematico è il caso di una donna di 32 anni di Egorjevsk, presso Mosca, che si nasconde sotto lo pseudonimo di Marina Sorokina e che è stato raccontato dal giornale Segodnja di Kiev. «La mia storia – dice Marina – è incominciata come quella di qualunque famiglia. Sposai un militare, dopo un anno nacque nostra figlia Polina. Si viveva senza lamentarci». Dopo la scuola media Marina trovò un lavoro come segretaria. Quando rimase gravida la prima volta la direzione la mandò in permesso «con i migliori auguri». Ma alla notizia della seconda gravidanza «mi dissero che se avessi partorito non mi avrebbero più aspettato». Marina dovette lasciare il lavoro. E quando la seconda figlia Arina fu un po’ cresciuta, incominciò a cercare un nuovo lavoro, inutilmente. E poi c’era il problema dell’appartamento, un vecchio alloggio di una sola stanza. Viverci in quattro era problematico. Marina apprese della possibilità di divenire una “madre surrogata” dalla televisione. Di qui la chiamata di un’agenzia, il contratto, la gestazione e il pagamento: finalmente un alloggio decente...

Non c’è da stupirsi che in queste condizioni Marina considerasse il fatto di portare in grembo un figlio altrui “un lavoro” come un altro, naturalmente facendo i conti con tutti i problemi psicologici che affliggono una donna in questa situazione.

Molte agenzie di maternità surrogata in Russia e in Ucraina prosperano sui clienti stranieri, anche italiani. Le agenzie internazionali esibiscono nomi in inglese: a Mosca è il caso di «Sweetchild», che in Russia domina il mercato. Il presidente del gruppo, Sergej Lebedev, i cui onorari vanno dai 15.000 ai 40.000 dollari, sostiene che il 75% dei russi danno un giudizio positivo o neutrale sulla prassi dell’utero in affitto. In Ucraina gli stessi servizi per gli stranieri vengono gestiti dalla «BiotexCom Center Human Reproduction» di Kiev che chiede per tutta l’operazione non meno di 30.000 euro. Ma i casi di truffa non si contano.????

di Giovanni Bensi

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