28/04/2018

Klein, femminista abortista, contro l’utero in affitto

Renate Klein non è certo nota per le sue posizioni bigotte e omofobe, anzi: è una femminista DOC che, prima di andare in pensione, ha insegnato alla Deakin University Storia del femminismo internazionale, Medicina riproduttiva ed Etica femminista. Eppure anche lei, come molte altre femministe e persone con tendenze omosessuali, si dice pubblicamente contro l’utero in affitto.

Nel 2014 lo aveva fatto sul giornale australiano Canberra Times, affermando: «Non esiste diritto a un figlio; i bambini non sono cose che si comprano e le donne che affittano gli uteri non sono “contenitori” né “angeli” ( a secondo di come uno le considera)…  Non si deve introdurre  e regolare la pratica dell’utero in affitto, in Australia. Bisogna combatterla».

Oggi torna a levare la voce dando alle stampe il libro Surrogazione: una violazione dei diritti umani, nel quale afferma che «la maternità surrogata è l’incarico / acquisto / affitto di una donna nel cui ventre viene inserito un embrione e che diventa così un ‘allevatore’ per una terza parte».

Utero in affitto: contro la donna e il bambino

Nel testo l’autrice argomenta la sua posizione, chiedendosi come mai si è arrivati a tanto: oggi il corpo della donna è considerato una merce e la “prostituzione riproduttiva” viene considerata un progresso.

Ovviamente nel criticare l’utero in affitto, la Klein – da femminista quale è – non può che criticare il patriarcato, dove secondo lei tutto a origine. Ma altri sono gli spunti interessanti: come riporta #StopSurrogacyNow, verso la fine del suo libro la docente afferma: «[...] Le nuove tecnologie riproduttive sono utilizzate per “tagliare” le donne nei loro ovuli e nel loro grembo, per trattarci con pericolosi cocktail ormonali invasivi e, nella maternità surrogata, per manipolarci psicologicamente e farci credere al mito che un bambino senza una connessione genetica non ci farà sentire alcun attaccamento, e che quindi questi bambini “surrogati” non sono i nostri figli “veri”. Questa ideologia compartimentale creata dall’uomo crea Test-Tube Women. L’idea di “mettersi al posto di Dio” (come dicevano i critici dei reprotech degli anni ’80) continua i 6.000 anni di dominio patriarcale delle donne in due punti che erano, e sono, centrali: uno, gli uomini non possono gestire la vita e dare alla luce bambini (cosa necessaria per continuare la specie Homo sapiens); due, gli uomini – come gruppo sociale – detestano le donne e il loro corpo per questo loro potere. Viceversa, quando le donne “non riescono” a riprodursi, il disprezzo espresso è netto».

Klein guarda alla dignità della donna (cosificata, sfruttata, manipolata...), ma anche alla sua salute fisica e morale. Inoltre, non manca di rivolgere il suo sguardo anche al nascituro, «che naturalmente non ha mai acconsentito ad essere un “bambino da portare via”: strappato dalla madre di nascita e donato a estranei, alias “genitori di desiderio”».

L’utero in affitto ci mette di fronte a una domanda: quanto può allontanarsi da se stesso, l’uomo? Qual è il limite oltre il quale la nostra umanità viene meno? Fino a quando riusciremo ad auto-ingannarci?

«[...] Le industrie del sesso (o della fertilità) ben regolate, secondo i loro promotori, creano felici prostitute (donne surrogate felici) e felici compratori di sesso (compratori felici di bambini)», prosegue la Klein. Ma tra l’una e l’altra pratica, entrambe offensive per le donne, vi è una differenza fondamentale, ossia il “prodotto finale” : «[...] il “prodotto” finale nella prostituzione è una “finta esperienza fidanzata”, mentre nella maternità surrogata è la creazione di nuovi esseri umani: i bambini».

Redazione

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