11/07/2019

La crisi più grave per l’Italia è la natalità. La drammatica fotografia dell’Eurostat

Quello delle culle vuote è, oggi, un problema drammatico in Italia, forse il problema più grande. Il nostro Paese, nel 2018, è stato, rispetto agli altri Stati europei, quello con il tasso di natalità più basso (il 7,3 per mille). È quanto ha evidenziato l’Eurostat commentando i dati sulla popolazione di tutti i 28 Stati membri in cui, lo scorso anno, il numero dei morti ha superato quello delle nascite (5,3 milioni contro 5 milioni). L’aumento della popolazione totale europea è salito da 512,4 a 513,5 milioni, ma, sottolinea Eurostat, solo grazie all’immigrazione. Tuttavia è una crescita che si fa fatica a definire tale, considerato che l’orologio demografico del nostro Paese, immigrazione o meno, è ormai fermo da tempo. In nove anni, infatti, l’Italia ha perso 120 mila nuove nascite all’anno, pari a una città delle dimensioni di Bergamo.

Anche se le cause del fenomeno del crollo delle nascite sono varie e complesse, tuttavia una di esse è senz’altro la crisi economica. (Non dobbiamo dimenticare però che fa parte di un circolo perverso: la crisi demografica e la crisi economica si alimentano a vicenda. E – come sottolineano illustri economisti, non potrà esserci una vera ripresa economica senza una corrispondente ripresa demografica).

Pensiamo comunque all’elevato indice della disoccupazione giovanile (fra i 15 e i 24 anni), rimasto per anni al di sopra del 40%, e quello dell’emigrazione giovanile. In quest’ultimo caso, alla drammatica “fuga dei cervelli” si aggiunge anche un’ulteriore sottrazione del patrimonio demografico e proprio nella fascia di età potenzialmente più prolifica (fra i 15 e i 34 anni).

E a proposito di fertilità e procreazione, in Italia il tasso medio di figli per donna si mantiene costantemente al di sotto dei 2 figli per coppia, numero che di per sé costituirebbe il fattore minimo per assicurare almeno il ricambio generazionale. Negli ultimi dieci anni, invece, si è passati da 1,46 figli per donna a 1,34. Il problema, tuttavia, non riguarda solo la precarietà o la mancanza di lavoro, ma anche la difficile conciliazione tra lavoro e famiglia che colpisce drammaticamente soprattutto le donne.

Oggi in una famiglia spesso è necessario che entrambi i membri della coppia lavorino, perché altrimenti non ci sono entrate sufficienti. Ma questo non basta perché spesso i ritmi lavorativi mal si conciliano con la funzione genitoriale. Per cui le donne, quasi in perfetta solitudine, sono costrette a conciliare maternità, lavoro domestico ed extradomestico e frequentemente, per disperazione, si trovano o a rinunciare al lavoro per dedicarsi unicamente alla famiglia o a rinunciare ad avere una famiglia per dedicarsi al lavoro. Non stupisce dunque come, attualmente, l’Italia risulti il Paese più vecchio del mondo (168,7 anziani ogni 100 giovani al 1° gennaio 2018).

Ma allora che fare di fronte a questo terribile crollo demografico? È una domanda affatto semplice, a cui ha tentato di rispondere anche Piero Angela nel suo ultimo libro Italiani poca gente in cui afferma che il nostro “malessere demografico” sarebbe causato da un vero e proprio malessere culturale: scarso senso di appartenenza a una comunità, con le responsabilità che questo comporta, ma anche la scarsa consapevolezza del fatto che i figli non sono soltanto un impegno, bensì anche una fonte di ricchezza per la famiglia e la società. E allora l’unica soluzione è quella che probabilmente è sotto gli occhi di tutti: fornire aiuti concreti alle famiglie anche in Italia, dove stiamo assistendo a una vera e propria “glaciazione demografica” ma, come chiosa Piero Angela, «se invece hai l’asilo nido, la possibilità di lavorare, due stipendi e aiuti forti, dalla detassazione ai contributi – non un bonus da 80 euro – allora è chiaro che fai più figli. Ci sono sondaggi, per quel che valgono, che dicono che le donne vogliono avere figli. E se si chiede loro quanti, rispondono “due”. In Francia, ad esempio, tutti possono disporre di scuole materne, asili nido, sia nel quartiere che nelle aziende. E la media è di due figli per donna».

Manuela Antonacci

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