06/11/2018

L’assessore del Veneto Donazzan: «Per difendere famiglia naturale ho vigilanza a casa. Finalmente qui il WFC»

Verona sarà “capitale mondiale della famiglia” nel 2019 e la Regione Veneto si candida a essere fulcro delle politiche familiari. Proprio qui dal 29 al 31 marzo si svolgerà il XIII World Congress of Families organizzato da Brian Brown e dalle associazioni promotrici del Family Day (Pro Vita Onlus, Comitato Difendiamo i nostri figli e Generazione Famiglia). Un evento molto atteso, che vede fra gli altri, impegnata in prima fila nel sostenerlo, l’assessore regionale del Veneto all’Istruzione, Formazione, Lavoro e Pari opportunità Elena Donazzan. Proprio con lei abbiamo parlato dell’importanza di questo evento internazionale, visto come il fumo negli occhi dalle associazioni del mondo Lgbt.

Assessore, cosa significa per il Veneto poter accogliere e ospitare il World Congress of Families?

«Mi limito a commentare con una sola parola: “finalmente”. Abbiamo bisogno di mettere in chiaro le priorità della società, prima che quelle della politica. Lo deve fare l’Italia perché qui abbiamo dei problemi che si stanno esasperando. C’è l’invecchiamento progressivo della popolazione, c’è un allarmante calo della natalità, c’è la perdita della dimensione cristiana della vita. Siamo la terra dove ci sono più chiese e opere d’arte cristiane, ma dove purtroppo queste chiese si stanno svuotando. Ma non dobbiamo difendere la famiglia soltanto in un’ottica prettamente cristiana, bensì anche nell’ambito di una visione laica. Per noi che crediamo, tutelare la famiglia naturale fondata sul matrimonio è soprattutto un dovere etico e morale, ma deve rappresentare una priorità anche per la società e per la politica. Purtroppo invece non si è più parlato di famiglia, mentre si è fatto di tutto per distruggerla».

Quali sono oggi i principali pericoli cui va incontro la famiglia naturale?

«Il rischio maggiore è proprio quello di parlare di altro e confondere le persone, come ad esempio tenta di fare l’ideologia gender facendo credere che bastano due persone che si amano e vogliono vivere insieme per creare una famiglia. A noi che difendiamo certi principi ci dipingono come i nuovi crociati mentre in realtà il tema, prima che cristiano, è soprattutto laico. Perché se si attacca la famiglia si attacca la società. Ma qual è il dono più bello che un essere umano può ricevere se non quello della vita? Lo chiedo in primo luogo ai non credenti che spesso sbandierano la vita come vessillo di assoluta libertà. Ma chi ha dato a tutti noi questo dono prezioso? Anche se non si crede in Dio non si può non riconoscere che esso è derivato dall’amore fra un padre ed una madre. Questo è innegabile, quindi è assurdo attaccare la famiglia e tentare di disintegrarla attraverso l’equiparazione di altre forme di unione, come ha fatto la violenta legge Cirinnà».

Violenta?

«Sì, considero la legge sulle unioni civili una legge violenta e posso affermarlo perché io ne sono vittima. Non più tardi di qualche giorno fa ero in una trasmissione a commentare la proposta di legge sull’affido congiunto su una tv nazionale dove una senatrice del Partito Democratico si è scagliata contro di me con una violenza verbale inaudita. Mi sono permessa di sostenere che un padre debba avere gli stessi diritti di una madre, pensando che questo fosse un principio sacrosanto. Questa proposta di legge cerca di limitare i danni della devastazione provocata da una famiglia divisa, con i figli trattati alla pari di pacchi postali, spostati da una casa all’altra. La suddetta senatrice dem è insorta contro di me perché avevo osato dire che questo testo mira a unire la famiglia. Mi ha accusato di essere un’oscurantista, di voler far perdere alle donne i diritti acquisiti usando contro di me un’inaccettabile violenza verbale, soltanto perché avevo parlato di “limitazione dei danni”. Non contenta di attaccare me si è scagliata contro Verona definendola “capitale dell’oscurantismo” proprio perché qui sarà organizzato il congresso mondiale delle famiglie e sempre qui è stata approvata una mozione per far entrare le associazioni in difesa della vita umana, nei consultori e negli ospedali. Ma cosa c’è di più bello che aiutare un bimbo a nascere? Inutile provare a far ragionare la mia interlocutrice, aveva ragione solo e soltanto lei e io quasi non dovevo nemmeno avere diritto di parola. Ecco perché definisco la legge Cirinnà violenta, perché ha portato a questo clima decisamente pesante e insostenibile».

Per altro lei di minacce ne sa qualcosa visto che ne ha ricevute molte e parecchio pesanti dopo aver postato sulla sua pagina Facebook il manifesto di Pro Vita e Generazione Famiglia contro l’utero in affitto.

«Sono stata minacciata di morte, ho dovuto presentare una denuncia e ho la vigilanza in casa. Tutto questo perché mi sono permessa di dire che i due uomini raffigurati sul manifesto non erano una famiglia e che il bambino non è un prodotto che si compra al supermercato. Che non possiamo scegliere i geni del figlio che ci piace, decidendo che deve essere bello, biondo e con gli occhi azzurri. Che non possiamo trasformare il corpo della donna in un’incubatrice da affittare. Paradossalmente quello che stiamo dicendo, ossia che il corpo della donna non può essere sfruttato, è la cosa più politicamente corretta che si possa affermare da parte di una femminista. Una donna non si vende e non si compra e il figlio è soltanto suo. Nonostante ancora oggi siano in tante a pensarla così, non ho ricevuto alcuna solidarietà da parte di esponenti del mondo femminista. L’ho ricevuta da Toni Brandi di Pro Vita e da tante persone normali che mi hanno invitato a non mollare. Io non ho paura delle minacce perché sono convinta che chi minaccia poi è incapace di agire con i fatti. Tuttavia un matto in grado di agire si può sempre trovare, uno pronto a castigare l’oscurantista Donazzan. Io posso anche denunciare chi mi minaccia direttamente ma poi su internet si può incontrare di tutto, anche persone instabili pronte a passare dalle parole ai fatti, sollecitate da un clima di odio alimentato contro chi osa pensarla diversamente».

I manifesti contro l’utero in affitto a Roma sono stati rimossi per volere del sindaco Raggi che li ha definiti omofobi. Pro vita e Generazione Famiglia hanno denunciato il primo cittadino per abuso d’ufficio. Come commenta?

«Illiberale far rimuovere quei manifesti. Quando a Roma c’erano i cartelloni di Oliviero Toscani con la ragazzina anoressica che pubblicizzava le magliette, nessuno ha detto nulla e a chi protestava è stato risposto che si trattava di libertà di espressione artistica. A noi questa libertà invece non è concessa. Così la libertà assoluta può stare nella bocca di tutti meno che nella nostra. Oggi esiste un “noi” e un “loro” con noi che siamo vittime di questa violenza e loro che la possono esercitare sotto ogni forma. Mi riferisco al mondo del politicamente corretto con i suoi dogmi e i suoi crismi e un’ideologia che può godere di tutte le tutele, anche quando si esprime con la violenza e le minacce. Noi non possiamo parlare, non possiamo stampare manifesti, non possiamo andare a parlare nelle scuole e negli ospedali. Dobbiamo soltanto tacere e subire in silenzio».

Cosa fare a questo punto?

«Non ci possiamo arrendere, anche se da maggioranza silenziosa che eravamo fino a dieci anni fa siamo diventati una minoranza. Ma una minoranza se vuole sopravvivere e non soccombere alla maggioranza, non può essere silenziosa, altrimenti è la fine. Chiunque di noi ha un ruolo deve essere coerente e lottare anche a costo di passare per estremista, se questo significa avere il coraggio di esprimere le proprie idee. Mi viene da dire, “evviva l’estremismo” se questo è il prezzo da pagare per restare coerenti con i propri principi e difenderli alla luce del sole. Non ci interessa affatto essere moderati se questo equivale invece a pensarla in una certa maniera dentro casa e poi giudicare in pubblico troppo forti certe immagini, che servono proprio a richiamare l’attenzione sulla difesa dei temi etici, per non andare contro il pensiero unico dominante. Non può esistere il sì con il ma e la presunzione di dire le cose addolcendo la pillola. Ecco, io verso certa moderazione inizio a provare un profondo fastidio».

Americo Mascarucci

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