25/08/2018

L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi?

C’è una convinzione di fondo, piuttosto diffusa tra studiosi della psiche ed educatori e che pervade l’opinione pubblica, che si basa sul seguente sillogismo: “L’educazione sessuale è bene; opporsi alla diffusione dell’ideologia gender significa opporsi all’educazione sessuale; opporsi all’ideologia gender significa opporsi al bene”.

Il professor Alberto Pellai, per esempio, è uno di questi illustri studiosi piuttosto critici nei confronti di quei movimenti che si oppongono al gender. Tempo fa, in un post su Facebook, il professore sosteneva che «Per bloccare il gender si blocca tutto ciò che si chiama educazione sessuale e affettiva. Invece è bene che gli adulti riflettano su un dato di fatto: il vero problema per i nostri figli è la diseducazione sessuale in cui crescono e la mancanza d’informazioni, educazioni e interventi preventivi che li aiutino a integrare la dimensione della sessualità in modo sano e sintonico con la loro identità, il loro percorso di crescita, il loro orientamento sessuale, i loro bisogni più profondi (non solo cognitivi, ma anche emotivi e affettivi)».

In questo modo il professor Pellai vorrebbe indurre una dissonanza cognitiva in chi si oppone al gender: opponendosi al gender si fa del male ai ragazzi perché se uno dei problemi per i nostri figli è la diseducazione sessuale in cui vivono (e l’ipersessualizzazione in cui si trovano immersi ogni giorno per opera dei media e delle tecnologie), la soluzione al problema in questo caso si dovrebbe chiamare “educazione affettiva e sessuale”. Ora, la domanda è: la prima premessa del sillogismo, quella sulla quale tutto si regge, è vera? L’educazione sessuale dei ragazzi è bene?

Sappiamo, ad esempio, che nei Paesi dove l’educazione sessuale è obbligatoria le malattie sessualmente trasmissibili sono sensibilmente più diffuse: basta leggere i rapporti dell’European Center for Desease Prevention and Control (ECDPC). Sappiamo che «i programmi che aumentano l’accesso alla contraccezione diminuiscono le gravidanze adolescenti nel breve periodo, ma aumentano le gravidanze adolescenti nel lungo periodo» (si veda, per esempio, lo studio Habit Persistence and Teen Sex: Could Increased Access to Contraception have Unintended Consequences for Teen Pregnancies? di Peter Arcidiacono, del Dipartimento di Economia della Duke University & NBER, Ahmed Khwaja della School of Management della Yale University e Lijing Ouyang, del Centers for Disease Control and Prevention); sappiamo anche che «non è emersa alcuna prova che interventi [di educazione sessuale] siano efficaci nel ritardare l’esperienza eterosessuale o ridurre le gravidanze, l’ubriachezza o l’uso di cannabis. Alcuni risultati suggeriscono un effetto contrario» (si veda per esempio lo studio di Meg Wiggins, dell’Unità di Ricerca sulle Scienze Sociali dell’Istitute of Education dell’Università di Londra, e Chris Bonell, della London School of Hygiene and Tropical Medicine, et al., pubblicato sul British Medical Journal).

Non sembra poi così certo che l’educazione sessuale sia un bene per i ragazzi. Eppure appare come un totem: qualcosa di sacro, intoccabile, incriticabile, assolutamente buono e positivo. È così? Riflettiamo. Innanzitutto l’educazione sessuale è un prodotto culturale, un esempio di ‘costruzione sociale’ che i sostenitori del gender tanto odiano. Non è sempre esistita (eppure il mondo è arrivato fino a noi...). Quando è stata inventata e perché, con quali obiettivi?

Il primo corso di educazione sessuale risale al 1919, nemmeno un secolo fa. Fu introdotto nel governo di Bela Kuhn durante il breve episodio della Repubblica Sovietica d’Ungheria dal ministro György Lukács. L’ambizioso programma di Lukács, denominato ‘terrore culturale’, era quello di sradicare dall’Ungheria sovietica la morale tradizionale (cioè cattolica), attraverso tre strumenti: la scuola, per intercettare ogni bambino; l’esclusione dei genitori, accusati di tramandare i modelli culturali tradizionali; e l’educazione sessuale. Questa consisteva principalmente nell’esposizione dei bambini a immagini e materiali pornografici, presentati in modo asettico e scientifico, senza alcuna valutazione di tipo morale o religiosa. L’esposizione precoce a materiale sessuale e l’assenza di ogni giudizio morale avrebbero indotto i bambini (cioè le future generazioni ungheresi) ad abbandonare i valori tradizionali. Il governo di Kuhn durò pochi mesi, e con esso terminò il primo progetto di educazione sessuale.

L’idea fu però ripresa negli Stati Uniti dall’eu-genetista e abortista Margareth Sanger, fondatrice della Planned Parenthood. La dottoressa Sanger era convinta che l’educazione sessuale nelle scuole fosse il modo migliore per diffondere la contraccezione e l’aborto negli Stati Uniti. I progetti della Sanger (molto impegnata anche su altri fronti) non produssero tuttavia molti risultati. Fu però Mary Calderone, direttore medico di Planned Parenthood, a diffondere capillarmente l’educazione sessuale negli Stati Uniti. Per dedicarsi a tempo pieno a questo scopo lasciò l’associazione fondata dalla Sanger e creò il SIECUS (Sex Information and Education Council of the United States), ancora oggi la più importante associazione per l’educazione sessuale negli Stati Uniti.

Anche le più importanti organizzazioni sovranazionali s’impegnarono per diffondere l’educazione sessuale in tutto il mondo. Il primo presidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il medico canadese Brock Chisholm, era convinto che la guerra appena conclusa, come tutte le guerre, fossero la conseguenza della morale, ossia del concetto di bene e di male: «L’unico minimo comune denominatore di tutte le civiltà e l’unica forza psicologica capace di produrre queste perversioni [il senso di inferiorità, di colpa, la paura e, in ultima istanza, la guerra, ndR] è la moralità, il concetto di bene e di male [...] La re-interpretazione e alla fine lo sradicamento del concetto di bene e di male che è stato la base dell’educazione infantile, la sostituzione del pensiero intelligente e razionale al posto della fede nelle certezze degli adulti, questi sono gli obiettivi ultimi di ogni psicoterapia efficace [...]. Se l’umanità deve essere liberata da questo fardello paralizzante del [concetto di] bene e male, sono gli psichiatri che se ne devono assumere la maggiore responsabilità. [...] La cosa più importante al mondo oggi è l’educazione dei bambini». Anche Chisholm, come già Lukács, vedeva nell’educazione sessuale, impartita da esperti (gli psichiatri) ai bambini al di fuori del controllo dei genitori, il modo migliore per sradicare dai bambini ogni traccia di moralità.

Gli obiettivi originari dell’educazione sessuale (nata, lo ricordiamo di nuovo, meno di un secolo fa) sono lo sradicamento della morale, la diffusione di aborto e contraccezione e, infine, la creazione di un’umanità più docile al potere. Tutto questo attraverso una precoce sessualizzazione.

Il paradosso è che il professor Pellai ha scritto un libro, Tutto troppo presto, nel quale prende posizione contro la precoce sessualizzazione dei ragazzi. Forse, anziché tentare di indurla negli altri, potrebbe provare lui stesso una certa dissonanza cognitiva nei confronti del gender e dell’educazione sessuale...

Roberto Marchesini

Fonte:
Notizie ProVita, n. 43, Luglio 2016, pp. 13-14

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