23/11/2017

L’inizio della vita e il parto: due momenti fondamentali

Quando inizia la vita? Stando alla scienza – e non all’ideologia che è ancora ferma al «grumo di cellule» – la vita inizia fin dal momento del concepimento: nel momento in cui lo spermatozoo incontra l’ovulo si ha la nascita di una nuova persona, un individuo con un patrimonio genetico che è solo suo e – in ottica confessionale – con un’anima.

Dal primo stadio, chiamato “zigote”, lo sviluppo di questa nuova vita procede con un ritmo vertiginoso e, dopo soli nove mesi di gestazione, il bambino è pronto per fare il suo ingresso nel mondo in carne e ossa.

La nascita “fisica” è certamente un momento importantissimo per la vita del bambino e dei suoi genitori: finalmente il nuovo componente della famiglia si mostra; e, se per la mamma il cambiamento è più a livello psicologico e organizzativo, per il papà il momento in cui il figlio viene alla luce è talvolta ancora più impattante, in quanto fino a quel momento lo aveva potuto viverlo solo tramite la mediazione della donna.

Facendo tuttavia un passo indietro, è interessante vedere come, per alcuni, la vita abbia inizio molto prima della nascita. Tra questi troviamo – solo per fare alcuni nomi – Michel Odent, ginecologo che ha elaborato la «teoria del periodo primario per lo sviluppo umano» (cfr. Il Parto Positivo), per il quale la vita di una persona inizia addirittura prima del concepimento; ma anche il religioso don Massimo Lapponi, secondo il quale tutta l’esistenza delle persone è segnata dal momento del concepimento, con riferimento all’amore esplicitato tra i genitori.

Un nuova vita: il momento del parto

Il parto è il momento temuto da tutte le donne. Ma, la natura ce lo insegna, il corpo femminile è predisposto per affrontare anche questo momento, seppur doloroso.

Il parto, in sé, è un processo involontario, durante il quale il bambino non viene “spinto fuori”, bensì viene “lasciato andare”. Nel partorire non c’è nulla da imparare, bisognerebbe solo cercare di disturbarlo il meno possibile. 

Per fare questo è necessario mettere a riposo la neocorteccia – la parte di cervello adibita al controllo e che è molto stimolata, per esempio, dal linguaggio – per favorire il rilascio di ossitocina. Occorre che la donna si senta in luogo protetto, non osservata (esattamente come fanno gli animali, che vanno a nascondersi)... e che possa vivere con naturalezza e spontaneità questo momento delicato e importantissimo della sua vita di donna e mamma. Un momento durante il quale a molte pare di morire dal dolore, il che – traslando sul piano simbolico – in un certo senso corrisponde a verità: la donna di prima muore e nasce una mamma. 

Per il bambino con la nascita finiscono i nove mesi di endogestazione e cominciano i nove mesi di esogestazione, durante i quali avrà bisogno di essere accudito con particolare attenzione dalla mamma, per poter creare un attaccamento sicuro. Un attaccamento che si porterà dietro in tutte le relazioni che costruirà e in tutte le esperienze che si troverà ad affrontare nella vita. Ecco quindi perché, per una donna lavoratrice, sarebbe importante riuscire a ritagliarsi dei mesi tranquilli prima di rientrare – se deve e se lo ritiene – al lavoro, preferibilmente sempre dopo il compimento dell’anno del bambino: pure utopie nel contesto sociale odierno, dove i bambini vengono portati al nido oppure lasciati a nonni o baby-sitter già a cinque mesi, dopo uno svezzamento precoce che permette alla mamma di liberarsi dalla dipendenza dell’allattamento.

Le conseguenze di questa impostazione le vediamo tutti: abbiamo bambini sempre più insicuri, sfidanti, arrabbiati, iperattivi... e non perché sono “nati così”, ma perché questa è la modalità con la quale cercano di capire se sono amati e desiderati dai loro genitori, se questi sono pronti a fare fatica e a sacrificarsi per il loro bene.

Una sfida che – attualmente – vede gli adulti perdenti e i bambini innalzati a un ruolo che non compete loro e che li spaventa enormemente, ma dal quale non possono uscire se non grazie a un adulto che si assuma le proprie responsabilità educative.

Teresa Moro


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