21/05/2018

L’Italia è il secondo Paese più vecchio del mondo

Il Rapporto annuale Istat 2018 lascia pochi margini alle elucubrazioni: l’Italia è il secondo Paese più vecchio del mondo.

Medaglia d’argento, dunque, mentre l’oro se lo è meritato il Giappone. Peccato solo che la scala di valori sia da invertire, e che ci sia ben poco di cui gioire.

Riporta documentazione.info: «I dati registrati il primo gennaio 2018 affermano che in Italia ci sono 168,7 anziani ogni 100 giovani. Solo il Giappone supera il nostro paese, con più di 200 anziani ogni 100 giovani. [...] Secondo le proiezioni tra 20 anni in Italia gli anziani saranno 265 ogni 100 giovani. Questa previsione è in linea con quella secondo la quale entro il 2065 l’aspettative di vita media aumenterà di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni (uomini) e 90,2 anni (donne)».

Naturalmente queste proiezioni sono il frutto dell’unione di diversi fattori: da un lato il crollo della natalità, con poco più di un figlio per donna, dall’altra l’aumento dell’aspettativa di vita per le persone, unite al clima di crisi valoriale ed economica che si sta facendo sempre più opprimente e che, almeno nel breve periodo, non pare prospetti cambiamenti in chiave positiva.

Cosa fare, di fronte a questo? Il primo lavoro, a dispetto di quanto dicono i più, è sul fronte culturale: infatti, se non si torna a comprendere che la famiglia è un fattore fondativo del vivere sociale e che la stabilità relazionale è il vero nucleo fecondo in grado di generare la vita, non serviranno a nulla gli incentivi economici o di altro tipo. Non sono 1.000 euro a convincere una coppia a mettere al mondo un figlio, anche se certamente anche quelli servono e costituirebbero una garanzia perché – inutile negarlo – mettere al mondo un bambino oggi è un atto che richiede una buona dose di “pazzia”: se si pensa a tutti i contra che ci sono (economici, sociali, lavorativi, educativi...), si farebbe meglio a stare fermi. Ma, d’altronde, non è sempre stato così? Forse un tempo, quanto la mortalità infantile era molto più alta e il contesto sociale – dell’Italia, ma non solo – era ancora più incerto dell’attuale, c’erano maggiori sicurezze? Assolutamente no.

Infine, un altro aspetto sul quale sarebbe importante investire, anche se si tratta di un parametro “ideale” e quindi difficilmente influenzabile, è quello della speranza. Generare un figlio, far andare avanti la vita, significa che si spera ancora nel mondo, nell’Italia, nel domani in senso generale.

Investiamo sulla cultura della vita e sulla speranza nel domani: i figli verranno di conseguenza, perché l’animo umano è pur natura volto a dare seguito all’amore.

Teresa Moro

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