23/02/2016

Ma quale famiglia? L’Italia non è un Paese per bambini

Dove sono finiti i bambini? Perché non si vedono più bimbi che giocano in strada o nelle piazze?

Non ha dubbi su cosa rispondere a Linkiesta, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet: “L’Italia è un paese per pedofobi. Non nascono più bambini, il loro numero si è dimezzato rispetto alla metà degli anni Sessanta.

Un discorso, questo, di assoluta attualità. Come abbiamo già detto, secondo l’Istat nel 2015 le nascite sono state 488mila (8 per mille residenti), quindicimila in meno rispetto al 2014, che già aveva registrato il minimo storico dall’Unità d’Italia. Di contro, circa il 22% della popolazione italiana ha più di 65 anni, il che di certo non è un segnale di speranza.

D’altra parte, in Italia per ogni 20 euro spesi a favore degli anziani, se ne spende solamente uno per quanti decidono di sposarsi e per i loro figli.

famiglia_diritti umani _ capricci individualistiMa come mai il Bel Paese, che ha fatto figli in tempi di crisi economiche più gravi di quella attuale (e perciò ne è uscito!) versa in questa situazione? «Il punto – sostiene ancora Crepet – è che siamo diventati egoisti. I soldi preferiamo spenderli per altro. Vengono prima i ristoranti, i week end fuori porta e le settimane bianche. Mentre i figli sono stati eliminati dalla lista della spesa». Una visione della vita «che ci porta a pensare ai figli solo dai 35 anni in su. Se succede prima, si tratta nella maggior parte dei casi di un incidente di percorso».

Come dire: prima mi diverto (o penso di divertirmi…), mi costruisco una carriera e mi sistemo economicamente; poi, se proprio devo e voglio, penso a fare un figlio. Ma uno, massimo due. Già tre sono troppi, e non parliamo poi di quattro, che comportano il cambio della macchina!

Accanto a questo problema demografico, tuttavia, vi è anche un problema educativo. Infatti, non solo sono in pochi coloro che decidono di mettere da parte il proprio egoismo e la presunta ricerca della felicità per fare dei figli, ma sono forse ancora meno i genitori con la consapevolezza della loro “missione”. Oggi si vedono adulti in balìa dei bambini, veri e propri tiranni che impongono i propri capricci e ai quali nessun adulto è capace di opporsi con un chiaro – e benefico – “No”. Sì, benefico: perché i bambini hanno bisogno di poter vedere nell’adulto una persona autorevole cui affidarsi (magari contrastandola, certo), mentre invece fa loro male essere caricati della responsabilità (assolutamente esagerata) di governare la propria vita.

Spesso si assiste a genitori che controllano i figli, che pianificano loro la vita, ma che non li educano. E questo per un motivo molto semplice: perché viviamo in una società composta di adulti molto fragili, senza una personalità solida e matura e che finiscono quindi con il riversare i propri problemi e le proprie paure sui bambini.

Insomma, è il gatto che si morde la coda. Ma rompere questo circolo vizioso è possibile, se ognuno ci mette del proprio.

Da un lato servirebbe un Paese più aperto verso la famiglia (l’unica famiglia possibile) e più pronto a venire incontro a chi mette al mondo dei figli. Dall’altra sarebbe necessario che quanti rientrano nella categoria dei cosiddetti “adulti” cominciassero a comportarsi come tali: mettendo da parte il proprio egoismo e soprattutto cercando di compiere un percorso personale che li porti a maturazione, lavorando sulle proprie ferite e debolezze, per poter essere guide solide e credibili dei cittadini del domani.

Teresa Moro

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