12/11/2016

Matrimonio diventa unione civile: lui diventa lei

Un infermiere e un’infermiera si conoscono sul luogo di lavoro nell’estate del 2000 e dopo solo sei mesi decidono di siglare pubblicamente la loro relazione, unendosi in matrimonio.

Oggi, a distanza di quasi sedici anni, la coppia vedrà il loro matrimonio “trasformato” in una unione civile, grazie alle novità introdotte dalla legge Cirinnà. In questi anni, infatti, lui si è sottoposto a un’operazione di “cambio del sesso” presso il Kamol Hospital di Bangkok ed è ora in attesa di ricevere una nuova identità anche all’anagrafe e sui documenti.

Il tutto, naturalmente, è possibile solo per la miopia del mondo moderno: colui che ora si traveste da donna, si fa chiamare Isabella e si definisce «una donna transessuale lesbica» continua a rimanere a tutti gli effetti un uomo.

In ogni caso, alla luce di questo presunto cambiamento di sesso, il matrimonio – che è appunto possibile solamente tra un uomo e una donna – non ha più ragione d’essere e dev’essere “declassato” (il termine è dell’avvocato che segue la coppia, ndR) a un’unione civile.

Scrive La Repubblica: «Prima dell’intervento della Cirinnà – spiega l’avvocato Cathy La Torre di Gay Lex, che segue da vicino il percorso legale di Isabella e Lucia – la legge 162/1982 prevedeva che, se uno dei coniugi cambia sesso, si debba obbligatoriamente dare atto a un divorzio, benché la Corte Costituzionale due anni fa abbia chiaramente detto che si tratta di una forzatura. [...] Ora – prosegue l’avvocato – la legge prevede che il matrimonio venga ‘declassato’ automaticamente in unione civile per decisione del giudice».

Il giudice Ettore Di Roberto del Tribunale di La Spezia si trova dunque a dover prendere una decisione che non registra precedenti in Italia.

Al di là degli aspetti strettamente legali, le considerazioni che si potrebbero fare rispetto a questa notizia sono molteplici, ma tutte segnate da un concetto di fondo che sta diventando sempre più pervasivo: la banalizzazione della famiglia (l’unica possibile) e dell’istituto matrimoniale. Il matrimonio è oramai diventato un contratto come un altro, che è possibile sciogliere con un divorzio (magari express) non appena gli umori cambiano; in parallelo, il matrimonio viene oggi frequentemente sostituito con la decisione di convivere, che porta alla coppia gli stessi diritti ma che non vincola agli stessi doveri; infine, con questo caso di La Spezia si legittima ulteriormente la pericolosa osmosi già presente tra il matrimonio e le unioni civili, che sono – e devono rimanere – due cose profondamente distinte e non equiparabili.

Infine, un’ultima riflessione. È giusto che una moglie, che dice di voler bene al proprio uomo, lo accompagni e addirittura sostenga in un percorso che va a minare la sua più intima identità? Il politically correct vorrebbe farci credere che Lucia (per mantenere l’esempio di La Spezia) è stata una brava moglie, accogliente e comprensiva, ma la verità è che voler bene a una persona significa anche metterla di fronte a dei limiti. Esattamente quei “No” che tanto aiutano a crescere i bambini – fornendo un indirizzo chiaro e ponendo loro dei confini che forniscono sicurezza – e che oggi nessuno pare essere disposto a mettere. Certo, perché volere il bene di una persona comporta sacrificio: dire «Fai quello che vuoi» è molto più facile e comporta meno problemi. Ma, per favore, non lo si chiami amore: si tratta semplicemente di una deresponsabilizzazione opportunistica.

Teresa Moro

Fonte: La Repubblica


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