07/10/2017

Nel dolore, un seme di Vita

“Momenti di vita brevi, minuti, piccoli respiri”, raccontati dalla fondatrice della Quercia Millenaria: dove c’è l’amore, la vita si compie anche se dura un minuto.

Vita breve, vita che vale

La morte di un figlio: non esiste incubo peggiore nell’immaginario genitoriale. L’evento più contro natura che possa esistere... non si può umanamente concepire il sopravvivere a un figlio.

Ma la vita non regala certezze a nessuno e malattie, incidenti o altro, possono metterci di fronte a questa straziante realtà.

Il modo di vivere questa esperienza cambia moltissimo a seconda del caso specifico. Morti inaspettate, improvvise, possono causare degli stati di choc gravissimi, mentre l’approccio di un genitore alla morte sopravvenuta dopo lunga malattia è vissuto indubbiamente in modo diverso.

E’ quel che accade alle coppie che si rivolgono a La Quercia Millenaria. E’ come se il dolore venisse centellinato giorno per giorno, dal momento della diagnosi fino all’epilogo. E giorno per giorno si entra già nella realtà futura della tomba... e ci si entra talmente tanto che al momento vero in cui lo si vive, non esiste choc né trauma, e a volte neppure il dolore lacerante che si era paventato per tutto quel tempo di attesa.

Possibile? Sì, lo abbiamo ogni volta sotto ai nostri occhi.

Dovrei spiegarvi a parole cosa si vive concretamente in una sala parto, quel fatale giorno in cui “tutto si compie”: la creatura amatissima, malata, malformata, destinata a breve vita, arriva al giorno della nascita.

I parenti fuori dalla sala parto sono spesso un esercito di familiari in ansia, antitesi della calma e padronanza della situazione dei più coinvolti in assoluto: i genitori del piccolo nascituro.

Loro, consapevoli, preparati, assistiti, amati, sanno che tutto sta andando come deve andare. Lo hanno imparato in mesi di attesa... dal giorno della diagnosi infausta, vero trauma nel corollario dei ricordi – soprattutto se la diagnosi è stata consegnata senza umanità, magari da un medico ansioso di togliere di mezzo “il problema” con l’aborto – tutto viene vissuto pienamente, ogni gesto, la preparazione, il colloquio con l’anestesista, il mettere una flebo, il rispondere a una domanda, il vestitino pronto, l’acqua benedetta per il battesimo, il Sacerdote in attesa nei corridoi, un abbraccio, una parola spezzata, il dire “ci siamo. Sappiamo. Credia- mo”. Crediamo come voi che que- sta creatura sia parte di un proget- to. Crediamo porterà frutti copiosi nella vostra famiglia.

E così, la creatura arriva: bella, perfetta nella sua imperfezione. Ma come si fa ad aver paura di un batuffolo di carne tenera e profumata? Qual è il problema, un cuore diverso, un dito in più, una calotta cranica non chiusa? Che cosa è che terrifica così tanto? Profuma di neonato, è morbido come un neonato, È UN NEONATO, ed è così che i suoi genitori lo accolgono. Spesso ci sono i fratellini che pian piano facciamo entrare, quasi di nascosto, perché è ancora lontano il tempo in cui la realtà dell’accoglienza sarà fatta a porte spalancate e questi genitori saranno considerati genitori e non dei pazzi fuoriclasse, magari malati di protagonismo religioso; e noi associazioni saremo viste come realtà socio-sanitarie in supporto al lavoro ospedaliero e non come qualcosa di accessorio e un po’ bislacco. «Mamma, è bellissimo», dicono i fratellini. Eppure ha gli occhi a ranocchietto, eppure ha 6 dita, eppure ha i piedi torti, eppure ha il labbro leporino, eppure... è bellissimo.

Momenti di vita brevi, minuti, piccoli respiri. Neonatologhe piene di amore, sembrano creature fuori dal tempo, che proprio in quei frangenti liberano finalmente il loro carisma: spiare il respiro, spiare la vita, incoraggiarla o sentenziarne la fine, ma con amore, infinito amore ... “è tornato al cielo”, lo dicono sussurrando, con tenerezza, temendo reazioni scomposte, e non sapendo invece di essere in perfetta sintonia con i genitori che san- no e che quasi vogliono scusarsi o rassicurare il medico e con amore dicono «Sì, lo sapevamo, non si preoccupi, va bene così».

E così arriva il funerale, spesso una festa, in cui parenti e conoscenti alla fine ringraziano i genitori: perché sono loro, che trasmettono la serenità di una vita comunque compiuta, perché dove c’è l’amore, la vita si compie anche se dura un minuto. E arriva la sepoltura, importantissima, fondamentale.

La sepoltura rappresenta per questi genitori una via più rapida all’elaborazione sana di un lutto, non solo per loro ma per tutto il nucleo familiare, soprattutto se ci sono altri figli presenti.

La possibilità di recarsi al cimi- tero, di mettere fiori sulla tomba, si accompagna a momenti di pianto, di ricordo, di riflessioni sul senso del passaggio di quella creatura, di consapevolezza che non si è trattato di un “figlio fantasma”, del frutto di un pensiero, ma di una persona concreta in carne e ossa che li ha preceduti in cielo.

La tomba rappresenta tantissi- mo per la famiglia: il riunirsi attorno ad essa, il pregare, sovente il cantare lodi domenicali, persino lo scambiare parole con persone che hanno figli sepolti lì vicino, genitori spesso nello strazio, diviene occasione di vera e propria evangelizzazione.

Le nostre mamme ci raccontano la bellezza dello stare sulla tomba del proprio figlio, in un contatto continuo con Dio e con le sue istruzioni... dobbiamo continuare a vivere? Possiamo continuare a vivere? Cosa dobbiamo fare di quanto abbiamo vissuto? Qual era il messaggio che questo figlio voleva portare a questa generazione? Possiamo ancora fidarci di Dio? Possiamo accogliere con fiducia una nuova vita? E’ stata buona questa storia, per la nostra famiglia?

C’è dolore, indubbiamente. Ma è quel dolore che educa, che ci fa crescere, che porta Vita. Che ci rende migliori.

Sabrina Pietrangeli Paluzzi

Fonte: Notizie ProVita, giugno 2015, pp. 9-10


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