10/08/2016

Neonati: vedere il Bello oltre la sofferenza

La dott.ssa Elvira Parravicini, neonatologa ed assistente di clinica pediatrica alla Columbia University, opera nel reparto di cure intensive neonatali del Morgan Stanley Children’s Hospital di New York, dove ha fondato un progetto di “neonatal hospice” per neonati affetti da malattie allo stadio terminale, dove si pratica la “comfort care” da lei ideata.

Nel mondo ci sono tanti Hospices per malati terminali, perché ha sentito l’esigenza di fondarne uno specifico per neonati?

Circa una decina di anni fa, soprattutto negli Stati centrali degli Stati Uniti, per iniziativa di medici ginecologi, molti ospedali cattolici e protestanti hanno creato i “Perinatal Hospices” per assistere le donne durante la gravidanza ed il parto di bimbi gravissimi.

Nell’ospedale dove lavoro io, questo tipo di struttura non c’era. Tuttavia, nella mia attività, sono normalmente interpellata dai ginecologi quando c’è un problema per una malattia del bambino e, di routine, facciamo colloqui con i genitori per informarli. In genere le madri che portano in grembo un bambino con una malattia o malformazione incurabile abortiscono, ma non tutte vogliono fare un simile gesto. È così capitato che, incontrando mamme che sperimentavano questa dura esperienza, ho offerto loro una prospettiva diversa, informandole sulla durata della vita del bambino e su che cosa sarebbe stato fatto dopo la nascita.

Mi sono guardata allora attorno e, vedendo che nel nostro ospedale non c’era nessun altro che faceva qualcosa di simile, mi sono offerta di seguire questo tipo di gravidanze. Alcuni bambini vivono per pochi minuti, alcuni per poche ore, altri per pochi giorni oppure per settimane. Come neonatologa mi sono così domandata come farli stare meglio, dando loro da mangiare, tenendoli al caldo oppure consentendo alle madri – che lo desiderano – di portarli a casa.

È così nata la metodologia del “comfort care”. Il mio ospedale è molto rinomato perché è un family center care, cioè un ospedale dove la famiglia è al centro della cura. Ad esempio, la nostra patologia neonatale è aperta ai genitori giorno e notte.

È una terapia intensiva dove i genitori possono stare vicini ai figli tutto il tempo che vogliono, possono entrare i fratellini, i nonni e gli zii, che a volte vengono da lontano. Siamo specializzati in questo tipo di attenzioni e sono convinta che il “comfort care” è nato in questo ospedale non solo perché è stata una mia idea, ma anche perché è un ambiente abituato a fare stare insieme i bambini con le loro famiglie. Evidentemente mi sono presa a cuore la situazione e, come neonatologa, offro una proposta – la mia unica proposta – alla mamma, che è quella di continuare la gravidanza e di far nascere il bambino. Ebbene, il lavoro di questi anni sta cambiando un poco anche la cultura dell’ospedale dove lavoro, che non è un ospedale cattolico, ma appartiene alla Morgan Stanley, una grande banca. L’impronta culturale non è per niente cattolica, è ateistica se vogliamo, la religione non c’entra, benché abbiamo mamme di tutte le fedi.

Le mamme che vogliono continuare la gravidanza sono in generale quelle credenti (cattoliche, protestanti, ebree, musulmane) e questa struttura permette alla famiglia, nel suo contesto culturale e religioso, di accogliere il bambino. Non solo. Ci sono anche madri che, essendosi sottoposte alla fecondazione in vitro e dopo tanti fallimenti prima di rimanere incinte, decidono di non abortire anche se il bambino ha delle malformazioni terribili, perché – come esse dicono – è l’unico bambino che possono avere.

banner_abbonati_rivista_provita

Se ho ben inteso, ha detto che in America c’erano già esperienze di Hospices. Cosa distingue la struttura da lei diretta?

I Perinatal Hospices, di cui ho appena detto, supportano la donna nelle gravidanze difficili, ma quando il bambino è nato non si può non fare nulla.
Quello che ho fatto di nuovo è ideare una struttura che curi il bambino durante il corso della sua breve vita, nel calore degli affetti della sua famiglia.

Per questo ho elaborato delle linee guida, pubblicate nella letteratura specializzata, ed il nostro centro organizza corsi annuali per insegnare agli operatori sanitari la metodologia di “comfort care”.

C’è chi vede nel bambino ammalato terminale e sofferente la prova dell’inesistenza di Dio. Questa sofferenza ha mai messo in crisi la sua fede?

La maggior parte di questi bambini non soffre affatto. È una menzogna dire che soffrono. Lo dico sempre durante la gravidanza. Questi bambini, quando nascono, sono molto deboli ed infatti l’uso della morfina è rarissimo. Se per caso c’è dolore, si dà la morfina per bocca e, comunque, ci sono quintali di medicine per combatterlo, per cui non c’è mai un problema di sofferenza. Sono i genitori che soffrono e, per questo, al “comfort care” abbiamo un team di persone che sta al loro fianco. Riguardo alla fede, penso che tutti esistiamo perché Qualcuno lo ha voluto. Io non ho deciso di nascere, voi non avete deciso di nascere, ma Qualcun Altro ha deciso. Chi è questo Qualcun Altro? È Quello che dà la vita a questo bambino. Il valore della vita dipende dal fatto che Qualcun Altro vuole quella persona in vita, non io, non i genitori, non i dottori.

La fede è già un giudizio sul fatto che qualsiasi bambino nasce, perché Qualcuno lo crea e quindi ha il diritto di vivere. Questo bambino ha un valore, perché è in rapporto con il Mistero di Dio.

Come ho appena detto, non vedo il dolore dei bambini, ma quello dei genitori. In questi anni avrò seguito più di duecento famiglie e non ho mai visto situazioni di disperazione, anche se drammatiche.

Anzi c’è sempre un momento di bellezza, un momento di gioia, in cui è chiaro che, prima della morte, c’è la vita e tutto quello che facciamo con loro è fatto per celebrare la vita di quel bambino.

ll bambino vive per nove mesi nella pancia della mamma e poi qualche minuto od ora o qualche giorno o settimana fuori di lei. Ecco, questa vita è intensis- sima, come se dovessero trascorrere ottant’anni in qualche minuto o qualche giorno. Allora tutto l’amore per questo bambino si concentra in quel momento.

Quello che cerchiamo di fare, dal punto di vista medico, è in funzione di questo e l’esperienza dei genitori – sebbene drammatica – è anche “molto bella”. Io credo in Dio e la riprova che Dio esiste, trattando queste famiglie e questi neonati, viene dal fatto che, guardando i bambini malati per il loro valore, non manca mai questo momento di bellezza.

banner_abbonati_rivista_provita

È stato detto che i medici formano il cervello e non il cuore. Fornire ad un sanitario la preparazione psicologica necessaria per affrontare una situazione di dolore equivale a formarne il cuore?

Il “comfort care” riguarda casi limite, ma consente di trattare meglio anche i bambini che non moriranno. Mi spiego. In presenza di un bambino che vivrà solo per poche ore o riconosci in lui un valore intrinseco o lo butti via! Però se non trattiamo come una persona dal valore infinito anche il malato cronico o chi ha una polmonite, magari cureremo la malattia, ma trat- teremo malissimo la persona. Il problema, a tutti i livelli della medicina, è quello di riconoscere che la persona che si ha davanti ha un valore, perché Qualcun Altro glielo ha dato.

È il suo rapporto col Mistero di Dio. Allora, aiutare a formare il cuore vuol dire essere persone col cuore, vuole dire che tu medico riconosci che “sei dato” e che tu sei in rapporto con un Altro e che tutto il resto della realtà “è dato”. Se lei legge il decimo capitolo del libro “Il senso religioso” di Don Luigi Giussani trova la risposta che le sto dando, anche se lui lo dice meglio di me. Formare dei medici e degli infer- mieri ad affrontare la medicina col cuore è il punto fondamentale, perché, se uno usa il cuore, anche la mente è in attività.

Faccio sempre questo esempio: mettiamo che l’ammalata è tua mamma e tu studi medicina, certamente studierai molto bene, perché partirai dal cuore!

Viceversa, se parti solamente con il cervello, puoi essere un mago della medicina, ma magari non ti accorgi che quel paziente ha dei sintomi un tantino diversi da quelli che credi. Io sono convinta che quando si parte col cuore si è medici bravissimi, perché si vede ancor meglio cosa sta succedendo a quel paziente (piccoli segni, ecc).

In Italia conosciamo l’hospice perinatale del Gemelli. Esistono altri centri analoghi a quello da lei ideato?

Sì, certo. Una struttura è all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, con il Prof. Giacomo Faldella e la Dott.ssa Chiara Locatelli. Poi a Napoli c’è un altro centro iniziato da una mamma e dalla sua infermiera. A Monza, il Dott. Paterlini e la Dott.ssa Vergani hanno delle esperienze simili. E poi, ovunque nascono questi bambini, c’è sempre personale infermieristico e medico che mi contatta, cosicché stiamo cercando di mettere questo personale assieme. Vorremmo fare riconoscere a livello nazionale la disciplina medica di “comfort care” per i neonati. Dappertutto, in America come in Italia, c’è un sacco di ideologia. Noi vogliamo dire: «Fermi tutti, c’è una mamma e c’è un bambino. Dando per scontato che la mamma ama il bambino, offriamole una possibilità, una proposta». Vogliamo dare alle mamme la possibilità di essere assistite, sia durante la gravidanza sia in occasione del parto.
Quale mamma direbbe di no? Questo non è ancora realizzato, perché operando in tal modo c’è un notevole dispendio di energie, in quanto bisogna stare ore e ore col bambino e con la mamma.

Gian Paolo Babini

banner_abbonati_rivista_provita

Fonte: Notizie ProVita, dicembre 2015, pp. 20-22

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.