20/04/2018

Parlare al bambino nel pancione: ha senso?

Lanciata come sensazionale, dall’Ansa,  e ripresa da diverse testate, la notizia “parlare al bambino nel pancione è un falso mito” di sensazionale non ha proprio nulla. Anzi, non ha nemmeno i crismi della novità, essendo stati pubblicati i dati cui fa riferimento tre anni addietro.

Solo che allora non ebbe la risonanza di oggi.

Come non è nuovo il discorso sulla percezione dei suoni da parte del bambino in utero. E’ negli anni ottanta che, grazie all’evoluzione delle apparecchiature ecografiche, si cominciò ad indagare lo sconosciuto mondo in cui ogni essere umano vive i suoi primi nove mesi. E si vide anche come il nascituro sia in grado di rispondere a stimolazioni esterne. Già nel 1992 P.G. Hepper and B.S. Shahidullah avevano dimostrato capacità di reazione dalla 19° settimana di gestazione, molto prima che l’orecchio sia formato nelle sue componenti essenziali. Anche in questo, quindi, la dottoressa Marisa Lopez-Teijón dell’Istituto Marquès di Barcellona e la sua equipe non aggiungono nulla di nuovo.

Il bambino nel grembo è un soggetto multirecettivo

trombone_bambinoAllora si cominciò a parlare anche di “apprendimento fetale”, con testimonianze particolarmente significative, come quelle di due genitori che dicevano il figlio non infastidito dopo la nascita dal suono del trombone, sentito durante la vita fetale, perché entrambi lo suonavano per mestiere o il musicista che si accorgeva di conoscere già le partiture suonate dalla madre violoncellista durante l’attesa o il neonato che si tranquillizzava ascoltando il brano con cui si era a lungo esercitata la madre pianista in gravidanza. L’ambiente intrauterino non è affatto silenzioso come si credeva in passato, sebbene i suoni giungano nel sacco amniotico variamente modificati attraverso la parete addominale, ma di certo vi arrivano. J.P.Relier definì il bambino nel grembo un soggetto multirecettivo: egli già nella pancia familiarizza con la voce materna, con quella paterna, come anche con i rumori ed i suoni tipici dell’ambiente domestico, in cui si troverà a proprio agio dopo la nascita.

Ancor prima, nel 1980, H.B. Valman and J.F. Pearson avevano pubblicato un articolo divulgativo dal titolo “What The Fetus Feels” (Cosa sente il feto), interessante perché parlava anche degli altri organi di senso, come il tatto, con cui il feto esplora l’ambiente che lo circonda, o il gusto, allorquando beve il liquido amniotico, ma soprattutto in prospettiva, se il discorso lo si estrapola ad un “sentire” più ampio, cioè alle sensazioni che gli arrivano dalla madre attraverso la placenta sotto forma chimica. Sono sensazioni di felicità, ansia, allegria, preoccupazione e soprattutto amore. Qual è quello della gravida che parla al proprio figlio che cresce nella sua pancia. Non è importante allora che non serva a nulla, ma certamente è utile a stabilire quell’attaccamento madre-bambino che si sa bene quanto sia importante e insostituibile.

Se non serve parlare al bambino nel pancione, ancor meno serve fagli sentire la musica per via endovaginale...

La stessa utilità della stimolazione sonora a fini diagnostici è tutta da dimostrare, dato che questi quarant’anni di ricerche non hanno portato ad alcun risultato pratico. Perché allora se ne riparla dopo tre anni? In realtà non si è mai smesso di farlo, considerato che l’equipe medica capeggiata dalla Lopez-Teijón ha fatto un ampio giro di presentazione che ha tra l’altro compreso prima il Massachusetts Institute of Technology di Boston e più di recente il Karolinska Institute di Stoccolma. Allo stesso tempo propagandando l’aggeggio di plastica che le gravide dovrebbero introdurre in vagina per trasmettere al feto musica da uno smartphone ad esso collegato, così come reclamizzato da un apposito sito internet ove è possibile acquistarlo. E facendo indirettamente anche pubblicità al centro di procreazione medicalmente assistita da lei diretto.

Cosa davvero molto deprecabile soprattutto perché interviene in un’area così intima e così privata dei sentimenti e per di più con fini di lucro.

In tutto ciò non manca la facile ironia, su uno dei tanti blog dedicati alla donna e alla gravidanza, per quella che potrebbe diventare una nuova discutibile moda di trasmettere suoni e onde sonore per via transvaginale. Quale sia poi l’efficacia di una siffatta stimolazione uditiva ancora non è chiaro, né si sa nulla sulla potenziale pericolosità delle onde e vibrazioni sonore. Gli stessi artefici ne sono preoccupati e con bieca falsa prudenza ne consigliano l’uso dopo la 16° settimana di gestazione e per non più di 10-20 minuti.

Cosa pensa il prof. Boscia che nella sua lunga carriera professionale ha fatto nascere circa 40.000 bambini?

Sono fermamente convinto che il miglior consiglio che si possa dare a tutte le donne in attesa è di continuare a parlare al proprio figlio, proprio come loro sanno fare, e soprattutto ad amarlo come solo una mamma sa fare.

A cura di

Prof. Filippo M. Boscia e Dott. Giuseppe Gragnaniello

Fonte: n. 336 Bulletin de l’Association médicale internazionale de notre-dame de Lourdes (Novembre 2016).

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