10/06/2015

Per la famiglia : STOP Cirinnà, senza se e senza ma

Si diffonde la notizia della manifestazione del 20 giugno e da tutta Italia arrivano numerosissime adesioni. Centinaia di migliaia di persone arriveranno anche da fuori Roma, dalle Regioni più lontane, per partecipare a una manifestazione che si annuncia decisamente imponente. Tutti ci ritroveremo a Piazza San Giovanni per manifestare per la famiglia e per i bambini, e contro il gender nelle scuole e il ddl Cirinnà sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Centinaia di migliaia di manifestanti chiederanno al Governo e al Parlamento di fermarsi in quest’opera di distruzione della famiglia e del matrimonio e quindi, in particolare di far cadere il ddl Cirinnà e ogni disegno di legge simile.

Aggiungiamo noi: opponiamoci al ddl Cirinnà senza se e senza ma. Infatti in questi momenti così delicati c’è una tentazione al compromesso che potrebbe assalire anche parti del mondo pro-life e cattolico. Il “se” e il “ma”, appunto.

Cioè: “NO a delle unioni civili uguali al matrimonio, MA siamo disposti a riconoscere certe unioni con un regime giuridico chiaramente differenziato ...”. Oppure: “NO al ddl Cirinnà, ma siamo disposti a discutere SE si tolgono i diritti più tipici del matrimonio”.

In realtà il problema è molto più profondo. Non ci possiamo accontentare soltanto di evitare che l’istituto del matrimonio venga snaturato. Il vero pro-life deve battersi contro ogni proposta che possa danneggiare il bene comune e compromettere ancora di più il tessuto morale della società. Specie su temi che riguardano la famiglia.

Ora, non solo le unioni civili “uguali” al matrimonio, ma ogni “unione civile” o ogni riconoscimento di unioni che si fondino su presupposti negativi, o la cui promozione risulterebbe dannosa alla società, sono da rigettare fermamente.

E’ bene che ogni pro-life, a maggior ragione se cattolico, rilegga quello che la Congregazione della Dottrina per la Fede ha affermato il 3 giugno del 2003, nel documento: “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”:

la CDF ricorda “a coloro che … vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi … che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall’approvazione o dalla legalizzazione del male. In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. (…) Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale” [sottolineature nostre].

La Chiesa dunque distingue chiaramente “l’equiparazione legale delle medesime [unioni omosessuali] al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo”, dal semplice “riconoscimento legale delle unioni omosessuali”, e ribadisce che in entrambi i casi è “doveroso opporsi in forma chiara e incisiva”. Infatti anche l’ipotesi in cui il riconoscimento legale delle unioni omosessuali non implichi una equiparazione al matrimonio con accesso ai diritti propri di quest’ultimo, rientra nella categoria delle leggi “così gravemente ingiuste”. E questo perché, come detto subito prima dal CDF, la “legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi” sarebbe una “approvazione” e una “legalizzazione del male”.

Non è quindi una questione del “numero” dei diritti, come se il problema sorgesse solo nella misura in cui quel “numero” avvicinasse l’unione omosessuale al regime giuridico previsto per il matrimonio. In realtà il riconoscimento pubblico di qualsiasi diritto basato specificamente sulle tendenze sessuali è una assurdità. Nemmeno “l’orientamento eterosessuale” richiama tale riconoscimento pubblico. Il matrimonio non è questione di “orientamenti sessuali” ma questione di “complementarietà di sessi biologici”: è quando la coppia è composta di persone di sesso diverso che essa è atta a essere fondamento della famiglia naturale, indipendentemente dal fatto che le persone siano, esclusivamente, parzialmente o prevalentemente eterosessuali, omosessuali, zoofile o sadomasochiste.

In più, il riconoscimento pubblico di unioni specificamente omosessuali è una “approvazione del male” in quanto si riconosce e promuove pubblicamente una inclinazione (e comportamenti connessi) moralmente disordinata, psicologicamente e fisicamente problematica (come spiegato in quest’altro articolo). Un diritto (qualsiasi diritto) è infatti un vantaggio di rilievo sociale, ed è quindi idoneo a promuovere socialmente il presupposto al quale viene legato il sorgere di quel diritto.

Il riconoscimento di unioni civili (qualsiasi) tra persone dello stesso sesso, magari con il pretesto che il rapporto rientrerebbe tra le “formazioni sociali ove si svolge la sua [dell’uomo] personalità” di cui all’art. 2 Cost., significa precisamente promozione pubblica dell’omosessualità. Il riconoscimento delle unioni omosessuali presuppone una scelta da parte dello Stato che contrasta con la tanto decantata “laicità” e “neutralità” in campo morale. Quel riconoscimento presuppone e promuove una posizione specificamente “omosessualista”. Infatti sarebbe illogico riconoscere le unioni omosessuali se non si ammettessero pubblicamente sia la rilevanza sociale che la positività dei rapporti omosessuali. In mancanza di uno dei due presupposti non avrebbe senso la predisposizione di un regime pubblico, sottratto in larga parte all’autonomia privata, contenente vantaggi sociali (cioè appunto “diritti”) in favore di chi instaura in certo tipo di rapporto affettivo.

Del resto anche il riconoscimento pubblico dei “diritti dei conviventi” eterosessuali (melius: di unioni libere di persone di sesso diverso) è contrario al bene comune. In questo caso i conviventi decidono di non ricorrere al matrimonio pur potendolo fare, e quindi rifiutano per loro stessa scelta un riconoscimento pubblico, rifiutando di assumere quel impegno sociale e stabile, socialmente utile, che è dall’ordinamento considerato meritevole di tutela. Ancora: quel riconoscimento pubblico non è dovuto non solo perché ciò è coerente con la volontà dei conviventi, ma perché i diritti connessi all’eventuale riconoscimento opererebbero una promozione sociale di quel tipo di unioni (come già spiegato). Questo sarebbe altamente lesivo del bene comune: la promozione di queste unioni “libere” o “instabili”, alternative al matrimonio, diminuirebbe la stabilità generale delle famiglie nella società, e aumenterebbe i casi in cui i bambini (perché queste unioni sono atte alla generazione) si trovano a vivere in contesti familiari senza garanzia di stabilità, ponendo le premesse di innumerevoli mali fisici e psicologici, come abbiamo ampiamente documentato in quest’altro articolo.

Il benessere collettivo delle famiglie, e quindi degli individui, è esattamente proporzionale alla misura in cui il matrimonio viene pubblicamente promosso e alla misura in cui si tende a ridurre l’incidenza numerica di altri tipi di unione a beneficio del matrimonio. Il benessere sociale è insomma proporzionale alla percentuale rappresentata dalle famiglie fondate sul matrimonio sul totale delle “famiglie”, comprese tutte le unioni alternative. Leggete qui se non ne siete convinti.

Una qualsiasi legge o regime giuridico, poi, che mirasse a riconoscere le “convivenze” genericamente, senza determinare se tra persone dello stesso o di diverso sesso, promuoverebbe entrambe queste forme. Per “conviventi” infatti si intendono in questi casi quelli “more uxorio”, che pretendono in qualche modo di essere o di poter diventare “famiglia” e che quindi sono in concorrenza (almeno nel caso di persone di sesso diverso) con l’istituto del matrimonio. Per diritti dei “conviventi” non si intendono solo genericamente “coloro che vivono sotto lo stesso tetto”, ma due persone che vivono “more uxorio”, tant’è che questi regimi di solito riguardano “due” conviventi, non gruppi di amici o di studenti, fratelli e sorelle, o i membri di congregazioni che fanno una vita comune e vivono sotto lo stesso tetto.

Infine una proposta legislativa di riconoscimento di “unioni civili”, specie nel particolare contesto italiano, otterrebbe un ulteriore effetto negativo: quello di fungere da base per nuove creazioni giurisprudenziali (e sappiamo quanto la giurisprudenza nel nostro paese sia “creativa”). Se infatti ora, che non c’è un simile regime giuridico, la maggior parte dei diritti dei conviventi sono di origine giurisprudenziale, non è difficile immaginare che avremmo altrettanti “nuovi” diritti di origine giurisprudenziale qualora venisse codificato legislativamente un insieme di diritti dei conviventi. A questo si aggiunge il fatto che in quest’ipotesi il regime rientrerebbe nel raggio d’azione della Corte costituzionale: dovremmo ormai conoscere bene, specie dopo le vicende della Legge 40/2004, i rischi che si corrono a “regolare” con la legge certe cose.

I diritti che si possono invece riconoscere sono quelli che non si fondano in sé sulla convivenza “more uxorio”, ma su un presupposto diverso. Ad esempio: il diritto a subentrare nel contratto di locazione può essere fondato sull’esigenza di non essere privati di una casa; e così via. Diritti che sono solo accidentalmente connessi con il fatto che si tratti nel caso concreto di una convivenza “more uxorio” o omosessuale.

Contro il ddl Cirinnà, senza se e senza ma, quindi. Dalla famiglia dipende tutta la società. Dalla famiglia naturale, stabile, fondata sul matrimonio dipende il benessere dei bambini e dei genitori. Quindi il benessere di tutti, perché tutti siamo genitori oppure siamo stati bambini. Difendiamo i bambini, difendendo la famiglia fondata sul matrimonio. Per questo manifesteremo il 20 giugno.

Alessandro Fiore

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.