19/06/2017

Popolazione – L’ombra della politica del figlio unico sull’Africa

Il mese scorso, si è tenuta a Nairobi, in Kenya, la prima Conferenza annuale Africa-Cina sulla demografia, la popolazione e lo sviluppo.

L’evento è stato organizzato congiuntamente dal governo cinese,  e dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), e dal governo del Kenya.

L’UNFPA 30 anni fa ha cominciato a collaborare con la dittatura di Pechino. Ha aiutato la Cina ad organizzare la crudele e sanguinosa politica del figlio unico, che pur essendo stata modificata in “politica dei due figli” non ha perso il suo carattere disumano e coercitivo: comunque in Cina per fare i figli, anche il primo figlio, bisogna chiedere il permesso al Governo, a pena di sanzioni inimmaginabili.

Questo il modello che si vorrebbe esportare in Africa. La conferenza, infatti, è stata la prima di una serie di futuri incontri annuali in cui i paesi in via di sviluppo potranno imparare ed implementare strategie efficaci per limitare il numero delle nascite. E molti relatori hanno insistito positivamente, come un esempio per il resto dei paesi in via di sviluppo, sulla politica di controllo della popolazione cinese.

L’ideologia neo-malthusiana sulla popolazione e la realtà dei fatti

Hanno detto che con il controllo della popolazione l’economia cinese è cresciuta in modo esponenziale. Non hanno detto, però, che la crescita del PIL a due cifre, negli anni ’90, si è fondata innanzi tutto sullo sfruttamento selvaggio e senza regole dell’ecosistema e dei lavoratori.  I tassi di inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra sono di proporzioni gigantesche. Di fronte ad essi l’Occidente, con le sue città fumose da più di un secolo di industrializzazione, sembra un luogo incontaminato... (potete vedere il materiale pubblicato in proposito dalla Laogai Research Foundation qui o qui)

La forza lavoro, in Cina, è costituita da qualche milione di prigionieri rinchiusi nei laogai, i campi di concentramento che il mondo continua colpevolmente a voler ignorare: si tratta di  prigioni che gestiscono imprese, agricole o commerciali, che esportano in tutto il mondo, pubblicizzandosi spudoratamente su internet.  E per i lavoratori fuori dai laogai non esistono sindacati  che li tutelino da orari e condizioni di lavoro disumane e massacranti. Per esempio, quelli che producono per le nostre multinazionali e i nostri grandi marchi (che magari risultano in prima linea, qui, per i “nuovi diritti umani”) capita sovente che possano godere del riposo domenicale ogni 15 giorni, se sono fortunati; oppure che subiscano punizioni corporali se si allontanano dal posto di lavoro, anche solo per andare in bagno.

Hanno detto che il controllo della popolazione favorisce la crescita economica, secondo la vulgata dell’ideologia neo-malthusiana, che è stata ampiamente smentita dai dati ufficiali: l’allarme demografico è una vera bufala. L’abbiamo detto e ripetuto. E anche i dati della FAO e pubblicazioni laiche come Nature e Il Sole 24 Ore lo confermano.

Gli economisti sanno bene che senza incremento demografico non c’è crescita economica.

Non hanno detto che il controllo della popolazione comporta l’invecchiamento della popolazione (infatti i paesi dell’Occidente che di fatto con la mentalità abortista e contraccettiva che consegue l’ideologia malthusiana si trovano davanti allo “inverno demografico”, si stanno attrezzando efficacemente per legalizzare l’eutanasia). Anche il PIL della Cina ha finito di crescere a due cifre da tempo: sono i giovani che lavorano e producono. Entro il 2035, la popolazione over-sessanta in Cina è destinata a raddoppiare, secondo  i dati sulla popolazione  del Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari Economici e Sociali: costituiranno oltre un terzo della popolazione totale della Cina entro il 2040.

Gli effetti del controllo della popolazione in Cina

Non hanno detto degli effetti negativi del controllo della popolazione cinese: violenza sulle  donne, tratta di esseri umani, incremento esponenziale di suicidi soprattutto femminili, distruzione delle famiglie, che – nei paesi dove non c’è previdenza e assistenza sociale efficiente, perché poveri, o perché dittature che pensano solo ad incrementare il potere e la ricchezza del Partito e del suo entourage – l’unica garanzia di sostentamento degli anziani, dei malati e degli inabili, sono le famiglie numerose, con tanti figli.

Come si fa il controllo della popolazione in Cina

Hanno detto che l’Africa deve imparare dalla Cina il controllo della popolazione: anche lì, allora,  l’UNFPA aiuterà ad organizzare un sistema di monitoraggio per tutte le donne in età fertile che dovranno obbligatoriamente portare la spirale anticoncezionale, sottoponendosi a controlli semestrali. Chi salta il controllo, perché non vuole portare la spirale, o perché è incinta (senza il permesso del Governo), viene braccata come un criminale: se scappa si arrestano i parenti, si distruggono case  ed effetti personali, si puniscono interi villaggi. E quando alla fine l’acchiappano, la costringono ad abortire (anche se la gravidanza è a termine), la sterilizzano coattivamente (a lei, ma anche al marito, se lo ritengono colpevole), le infliggono multe di entità tale che mai, per tutta la vita, finirà di pagare.

E se per caso la malcapitata riesce comunque a partorire, il bambino è destinato ad ingigantire le fila dei “fantasmi”, dei milioni di individui non registrati all’anagrafe che per sopravvivere hanno come unica speranza quella di diventare schiavi di padroni non troppo disumani.

Questa è la politica di controllo della popolazione in Cina. Questo il modello da esportare in Africa?

Il neo-colonialismo cinese in Africa

Ed è giusto usare il termine “esportare”? I Cinesi hanno già invaso l’Africa da un pezzo (guardate qui): in cambio di infrastrutture, realizzate da ditte cinesi, con manodopera cinese (anche prigionieri dei laogai deportati in loco appositamente), la Cina da più di dieci anni sta comprando e colonizzando vasti territori africani (landgrabbing): ne sfrutta a proprio uso e consumo le enormi ricchezze naturali, coltiva vasti appezzamenti di riso, soia e piante destinate al biocarburante: prodotti che tornano in Cina e lasciano in Africa la devastazione dell’ecosistema e di interi villaggi sgombrati e rasi al suolo per far posto agli affari dei nuovi colonizzatori.

Ma tutto questo l’Occidente dei “diritti umani” fa finta di non vederlo. E’ ovvio che non batterà ciglio anche quando in Africa si attuerà il controllo della popolazione in stile cinese.

Francesca Romana Poleggi

P.S.: Giovedì 22 giugno, nell’ambito degli eventi organizzati dalla Laogai Research Foundation in memoria di Harry Wu,  a villa Borghese, presso la Casa del Cinema, a Largo Marcello Mastroianni 1, a Roma, sarà proiettato il film-documentario: “FREE CHINA: il coraggio di credere“ che rivela le diffuse violazioni dei diritti umani che ancora oggi si registrano in Cina e le condizioni dei campi di lavoro cinesi. Interverrà anche la sottoscritta che terrà una breve relazione sulla questione demografica cinese. L’ingresso è gratuito. 

FRP


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