25/10/2017

Se la mamma lavora i voti sono migliori. Davvero?

In questi giorni La Repubblica ha pubblicato un articolo che riporta un dato controverso: secondo le analisi realizzate sui test Invalsi 2015/2016 sulla lettura e la matematica, sarebbero risultati più bravi gli alunni che hanno una mamma lavoratrice. 

Naturalmente il secondo giornale italiano ha sfruttato la cosa a proprio vantaggio, giocando su un tasto tanto debole, quanto comune: il senso di colpa che anima quelle donne che sono costrette a dividersi tra la famiglia e il lavoro. Ecco quindi le righe di esordio dell’articolo di La Repubblica: «Buone notizie per tutte le mamme lavoratrici che si dividono con fatica tra la professione e le preoccupazioni per i compiti dei figli. I ragazzini di terza media con la mamma impegnata al lavoro, anche tutto il giorno, rendono di più dei compagni che hanno la genitrice (la prossima volta scriveranno “il concetto antropologico”? Sic!, ndR) casalinga».

Il resto dell’articolo, sintetizzandolo ma non travisandone il senso, è una sorta di accusa indiretta a tutte le donne che decidono di stare a casa: come dire, non solo non siete utili alla società (... e non fate nulla tutto il giorno!) ma il vostro operato da “mamma h.24” è pure dannoso per i vostri figli che crescono viziati e iperaccuditi, il tutto alla luce del fatto che – rieccoci con il mantra trito e ritrito – «non conta quanto tempo si passa con i figli, ma la sua qualità».

Bene, il condensato di ideologia è servito. Ora cerchiamo di rendere onore alla verità.

La mamma, i figli e il “tempo di qualità”

I bambini hanno bisogno di passare tanto tempo con la mamma e il papà (... e gli adulti hanno bisogno dei bambini per non perdere le cose essenziali della vita!) per sviluppare un attaccamento sano e guadagnare autostima. L’utopia del “tempo di qualità” non regge di fronte all’evidenza che i tempi dei bambini non sono i nostri: i nostri figli non sono automi che si aprono e confidano con noi a comando, quando noi abbiamo tempo (magari durante un tragitto in macchina), e non sono neanche peluches da trasportare da una parte all’altra, piegati agli ordini della nostra agenda iperaffollata. Soprattutto nei primi anni di vita il fatto di passare tanto tempo con i genitori è fondamentale: ma, attenzione, questo non equivale a non renderli autonomi, anzi. Il fatto di passare tanto tempo con i propri bambini può aiutare anche i genitori a capire quali sono le competenze del bambino e favorirne di nuove.

Fare la mamma a tempo pieno o lavorare?

Lavorare non è obbligatorio. Senza considerare il dato economico (non tutte le donne possono permettersi di stare a casa), la scelta di lavorare è opzionale: se una donna decide di stare a casa a fare la mamma, non significa che non contribuisca al bene della società. Anzi, forse lo fa di più di chi lavora tutta la settimana. Ma, appunto, rimane una scelta e non vale di meno di quella di coloro che decidono di lavorare: ognuna, dentro di sé, sa cos’è meglio per la sua famiglia nelle varie fasi di vita. Certo, stare a casa a fare la mamma può – a tratti, o sempre – risultare meno gratificante che lavorare e guadagnare, ma la donna trova la massima gratificazione nelle relazioni con gli altri e nel prendersi cura di qualcuno, quindi questo non è in contrasto con la sua natura.

Il femminismo che vorrebbe tutte le donne in carriere è cosa passata: ora la donna può scegliere come impiegare le proprie giornate e qualsiasi scelta è meritoria, se si tengono nel giusto ordine le priorità della vita.

Conclusioni: quel che conta è essere mamma

Concludendo, si potrebbe dire che quello che è più importante è essere mamma (... ed essere papà). Questo significa innanzitutto accettare che, fin dal momento del concepimento del figlio la vita cambia radicalmente, e quella donne ancora più che degli uomini.

In secondo luogo, significa essere disponibili al sacrificio (Padre Pio diceva a una sua figlia spirituale che «mamma» è sinonimo di «martire»). Sacrificio fisico, già a partire dalla gravidanza e dal parto e poi nelle notti insonni e nella fatica di gestire tutto...; ma anche, e soprattutto, sacrificio a livello interiore: per fare spazio ai figli occorre tagliare altro (passioni, aspirazioni...) e invece cominciare a lavorare su di sé e sulla coppia, non nell’ottica di un utopico perfezionismo, ma per cercare di non perdersi l’opportunità di trascorrere con i bambini – ... subito adulti! – i propri anni migliori.

Teresa Moro


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