19/10/2016

Sì alla famiglia e NO al referendum: eccovi le ragioni (1)

“Dalla decostruzione della famiglia alla disintegrazione dei corpi intermedi della società” è il titolo di una pubblicazione  dell’Associazione Generazione Famiglia, a cura dell’avvocato Simone Pillon, che ci ha gentilemente concesso di condividere con i Lettori di ProVita “le ragioni per il NO al referendum costituzionale”.

Da oggi in poi ne pubblicheremo ampi stralci. Premettendo anzitutto una raccomandazione: per questo tipo di referendum la Costituzione non prevede alcun  quorum. E’ quindi indispensabile andare a votare. Se per ipotesi assurda si recassero alle urne solo 4 persone, sarebbero quelle 4 a decidere – a maggioranza – se la riforma Renzi passa  (votando SI’), o non passa (votando NO).

Il DDL di riforma costituzionale persegue – a parole – la semplificazione e il risparmio dei costi della politica. In realtà – come peraltro pacificamente ammesso dallo stesso Matteo Renzi – vuole ottenere la c.d. “disintermediazione” cioè la soppressione o il ridimensionamento dei corpi intermedi che animano e popolano la società. La
nostra Costituzione fu scritta in un contesto di grande condivisione e reciproco ascolto da tutte le forze politiche uscite dall’esperienza dello Stato Totalitario. Il criterio guida scelto e condiviso fu proprio quello di valorizzare il ruolo degli esseri umani non solo quali singoli individui ma quali persone-in-relazione.

Esemplare sul punto proprio la formulazione dell’art. 2 della Costituzione che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo non solo come singolo ma anche nelle formazioni sociali ove “si svolge la sua personalità”.

Tutta la Costituzione è un susseguirsi di proposte, indicazioni e protezioni in ordine alle “relazioni”, tutelando i rapporti civili, i “rapporti etico-sociali” i “rapporti economici” i “rapporti politici” e così via.

Questa impostazione sussidiaria e relazionale emerge con chiarezza dai lavori preparatori, che – tra l’altro – spiegano “che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che:

a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella;

b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale; anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (famiglia, comunità territoriali, professionali, religiose, ecc.) e quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, nello Stato;

c) che per ciò affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato”.

L’obbiettivo dell’ideologia individualista e immanentista di cui è alfiere internazionale il presidente Barack Obama e – nel nostro Paese – il Partito Democratico del segretario-premier Matteo Renzi è dunque quello di superare la concezione personalista e sussidiaria dell’ordine nazionale per sostituirla con un centralismo assoluto da un lato e con l’atomizzazione della società dall’altro.

Si mira cioè a disorganizzare, disincentivare e decostruire i corpi intermedi e le comunità locali, regionali e financo nazionali diluendo le singole identità in una visione mondialista che superi le strutture sociali anziché integrarle e valorizzarle.

La prima delle strutture sociali da eliminare è dunque la famiglia.

Leggi come quella del “divorzio breve”, ovvero quella della negoziazione assistita (che amo definire “divorzio bricolage”) – fortemente volute dal governo Renzi – mirano a rendere sempre più solubile il rapporto familiare, tanto che oggi nel nostro Paese è più facile cambiar moglie che cambiare operatore telefonico.

Un altro passo significativo in questo senso è stato compiuto con l’introduzione del “matrimonio” egualitario o – nel nostro Paese – con l’approvazione delle c.d. unioni civili, imposte dal governo Renzi con un maxiemendamento su cui è stata posta la questione di
fiducia sia alla camera che al Senato.

Garantire – come fa la legge 76/2016 – ben 5 modelli familiari, indifferenti quanto all’identità sessuale dei contraenti, significa sostanzialmente affermare che ogni relazione affettiva è anche relazione familiare.

Il matrimonio naturale, l’unione civile gay, la “convivenza di fatto” per la quale farà fede la co-residenza (persone che si trovano a risiedere insieme e che – senza neppur esser state avvisate – hanno ora diritti e doveri reciproci tra cui il subentro nell’abitazione ovvero il diritto agli alimenti), i “patti di civile convivenza” da stipularsi da avvocati e notai (da me affettuosamente
definiti “matrimonio pret a porter” in cui le persone potranno stabilire clausole rigorose per regolamentare la loro vita quotidiana), e infine le convivenze non registrate, senza cioè co-residenza, come ad esempio i c.d. LAT (Live Apart Togheter), molto diffuse nei paesi del Nord Europa. Si tratta di coppie che decidono di stare insieme durante il giorno ma poi, la sera, ognuno a casa sua!

Se dunque tutto è famiglia, niente è famiglia.

I risultati a medio e lungo termine di una siffatta impostazione legislativa e sociale tuttavia sono ben noti: basti portare quale esempio la strutturazione (o destrutturazione) della società svedese dove ormai il 55% delle persone (65% nella capitale) vivono da sole.

Del resto è ovvio che disincentivando l’istituto familiare ovvero diluendone i contenuti identitari in una sorta di universale embrasson nous per cui basta l’amore per aver diritto al matrimonio, il tessuto sociale di un Paese non tarderà a cedere. Se infatti collassano le
singole cellule, come potrà non collassare – presto o tardi l’intero organismo?

Lasciare – come si vuole – il cittadino solo di fronte all’enorme potere dello Stato significa costruire una società in cui le persone forti, abbienti e in salute possano soddisfare ogni loro capriccio ai danni dei più piccoli, fragili, indifesi. Il tutto senza dimenticare che prima o poi ciascuno – vuoi per l’età, vuoi per la malattia, vuoi per la precarietà economica – si troverà ad essere fragile e indifeso.

In una società composta solo da singoli individui hanno pieno diritto di cittadinanza l’aborto, l’utero in affitto, la selezione eugenetica, l’eutanasia e tanti altri pseudo-diritti che già sono riconosciuti o che presto saranno garantiti anche nel nostro Paese.

Decostruita dunque la famiglia, l’attenzione dei “rottamatori” passa dunque alla distruzione degli altri corpi sociali, quali appunto quelle “comunità territoriali” , prime tra tutte le provincie e le regioni, e poi le “comunità politiche” quali i partiti politici, le aggregazioni civiche, il CNEL e lo stesso Parlamento.

Tale è dunque l’obbiettivo della riforma costituzionale e della collegata legge elettorale chiamata Italicum. Vedremo come, prossimamente.

Tratto alla pubblicazione sul NO al referendum a cura dell’avv. Simone Pillon

Qui i link alle parti successive: seconda, terza, quarta, quinta, sesta.


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