08/03/2017

Televisione, così ti vogliamo: evviva “Che Dio ci aiuti!”

Aumentano costantemente le persone che decidono di non guardare più la televisione: non solo sono sempre meno i programmi per i quali valga la pena perdere del tempo, ma la RAI sponsorizza – con i nostri soldi, raccolti con il canone direttamente in bolletta – la lobby Lgbt.

Naturalmente, anche Mediaset e gli altri caldi canali non sono da meno... Gli esempi potrebbero sprecarsi, ma per citare forse il caso più eclatante in quanto in onda sui canali “di Stato”, basta pensare al Festival di Sanremo, che l’anno scorso ha dato la spalla alle unioni civili e quest’anno alla pratica ignobile dell’utero in affitto (peraltro illegale, in Italia).

Televisione spazzatura, dunque. Ma, anche in questo marciume, qualcosa si salva e viene premiato dal pubblico... perché, a conti fatti, il bene vince sempre sul male e la verità non può essere negata all’infinito.

In particolare, ci riferiamo a tre serie in onda, per la televisione, su RAI 1: Don Matteo, A un passo dal cielo e Che Dio ci aiuti, tutte prodotte dalla LuxVide (dietro la quale pare ci sia l’Opus Dei). Tutti e tre questi sceneggiati, pur nella diversità della trama, rimettono al centro i valori della vita, della famiglia e della fede: senza ostentazione, ma dimostrandone con naturalezza l’importanza centrare nella quotidianità delle persone.

In particolare, nelle ultime due domeniche (26 febbraio e 5 marzo), le puntate in prima visione  della quarta stagione di Che Dio ci aiuti hanno dato ampio spazio – una rarità, nella nostra televisione! – al tema dell’aborto, dell’utero in affitto, della famiglia e dell’eutanasia, nelle parole dell’ottima Sofia Ricci, nei panni di suor Angela, e degli altri protagonisti.

Negli episodi 17 e 18 sono emersi chiaramente, nella storia narrata, due appelli. Il primo contro l’utero in affitto, pronunciato da una ragazzina neanche maggiorenne che scopre che la mamma e il papà con cui è cresciuta l’hanno avuta sfruttando e pagando una donna e che hanno fatto un aborto selettivo sulla sua gemellina in quanto non “perfetta”. Il secondo, contro l’eutanasia, nella bocca di suor Angela, la quale afferma con forza che ogni vita vale, al di là delle circostanze.

Nell’ultimo episodio della serie, invece, ecco una difesa della vita e della famiglia. Rispetto al primo punto – peraltro già trattato in passato, in riferimento alla storia dell’allora sedicenne Azzurra – la vicenda di una donna che, dopo aver scelto per la vita, abbandona la sua bambina appena nata presso il convento di suor Angela: quello che accadeva un tempo con le “ruote degli esposti” e che ricalca la funzione delle odierne “culle per la vita”. Una mamma, anche se non può o non se la sente di crescere il figlio che ha in grembo, gli dona comunque la vita e poi lo lascia in un posto sicuro, dove altri si prenderanno cura di lui...

Per quanto riguarda la famiglia, invece, è dalla bocca di Monica che esce il messaggio fondamentale: «Voglio i figli, voglio una famiglia, voglio il matrimonio. [...] Voglio vivere insieme finché morte non ci separi. Voglio il pacchetto completo!».

Messaggi inconsueti da sentire in televisione in prima serata, di certo non politically correct. Messaggi di speranza, che riempiono e aprono al futuro... e, sempre, «Che Dio ci aiuti» a mantenerci attaccati a questi valori!

Teresa Moro



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