07/08/2016

Televisione e bambini del XXI secolo: quale rapporto?

La televisione generalista perde parte della sua centralità “sociale”, a favore di una televisione sempre più individuale, declinata su più canali e piattaforme; i prodotti video vengono distribuiti contemporaneamente sulla TV, sul pc, sui dispositivi mobili.

A questo enorme dilatarsi dell’offerta televisiva non è per niente corrisposto nel tempo un miglioramento qualitativo dei suoi contenuti, ma la TV ha comunque continuato a mantenere intatto il suo appeal e ad assurgere al ruolo di principale agenzia educativa; tanto che il suo utilizzo rappresenta ormai uno dei comportamenti più diffusi tra i giovani: basta pensare che oltre metà dei minori segue la TV dalle due alle quattro ore al giorno, spesso in completa solitudine, dedicando a essa un tempo superiore a quello impie- gato nelle attività scolastiche, sportive o relazionali (1.100 ore di televisione l’anno contro 800 ore di scuola).

Il minore, però, non è solo un semplice telespettatore davanti alla TV ma anche un soggetto attivo dentro la televisione; e il punto nodale è proprio questo, perché il minore non è in grado di filtrare i contenuti dei messaggi televisivi, neanche quando è egli stesso parte- cipe di questi, poiché non dispone degli strumenti critici sufficienti a comprendere, ed eventualmente a rifiutare, i comunicati mediatici. La continua frequenza con cui i minori possono essere “bombardati” da contenuti il cui livello qualitativo può non essere sempre soddisfacente, arriva a determinare una complessa sequenza di effetti. Questi possono essere di vario tipo: da quelli derivanti dall’assunzione di posture errate e di un’alimentazione sbagliata a quelli psico-pedagogici e culturali.

Ma cerchiamo di comprendere in che modo si ritiene che i minori possano essere lesi dalla programmazione televisiva. Dall’osservazione clinica di condizioni psicopatologiche si evidenzia che, in alcuni casi, l’utilizzazione della televisione diventa una modalità sintomatica di vivere: se vengono a mancare i valori trasmessi dalla famiglia e dalle istituzioni sociali, il bambino vive e trova il suo compenso nell’abuso della televisione e assorbe come valori quelli comunicati dalla stessa.

Ovviamente, bisogna anche precisare che l’abuso televisivo può essere dannoso, soprattutto, in alcuni particolari casi a rischio. Sono situazioni di rischio quelle in cui viene a mancare l’identificazione primaria con i genitori e quelle in cui vi è un clima fami- liare problematico e violento.

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Inoltre, oggi la televisione è sempre più frequentemente utilizzata come strumento sussidiario, una sorta di “bambinaia”: il problema è che il bambino vive passivamente gli stimoli sonori e visivi equivalenti a stimoli affettivi, senza essere avvezzato alla fatica del confronto con la realtà e, quindi, senza la mediazione del genitore che lo aiuta a distinguere tra quello che è reale e quello che è finzione. Altro fattore da non sottovalutare è la violenza, sempre più presente nei programmi delle TV commerciali; infatti, quasi tutti i generi televisivi, come film di guerra, polizieschi, western, documentari, notiziari, cartoni animati, eventi sportivi, spot pubblicitari e video musicali includono, più o meno volontariamente, situa- zioni potenzialmente dannose per il benessere dei più piccoli. A tal proposito, l’AIART, Associazione Italiana Ascoltatori Radiotelevisivi, specialista nel campo della comunicazione sociale e promotrice di un’azione formativa ed educativa all’uso responsabile e critico dei media, ha intervistato, su questa tematica, Anna Rezzara, professore ordinario di pedagogia alla Facoltà di scienze della formazione all’Università Bicocca di Milano, la quale ha affermato che: «Una realtà televisiva dei nostri tempi molto pericolosa è che gli adulti, gli adolescenti e i bambini vengono esposti agli stessi messaggi e alle stesse immagini senza pensare che, mentre per un adulto vedere un reportage su una guerra può essere informazione, per un bambino ha un effetto del tutto diverso. A seconda dell’età si hanno esigenze e modi di vivere le immagini e i messaggi televisivi in maniera differente. La fruizione televisiva di un bambino di tre anni deve essere costituita da programmi fatti a sua misura, quindi con immagini chiare e non violente e piccole storie raccontate con un ritmo particolarmente lento e che riportino realtà che lui può comprendere».

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La televisione si caratterizza, quindi, più che come risorsa dell’educazione come il rischio che i bambini, immersi in una serie di immagini anche potenti con effetti speciali che amplificano la violenza, possano percepire la realtà mediatica come un ‘codice normale’.

In linea generale, tutti gli esperti del settore, attraverso numerose ricerche condotte anche in altri Paesi, hanno dimostrato che una massiccia esposizione dei minoria qualsiasi media può avere ricadute sui processi formativi e sulle condotte infantili.

In riferimento alla televisione, tra i principali effetti negativi evidenziati rientra quello frequentemente menzionato come la tendenza della televisione a “rubare” l’innocenza dei bambini o, volendo usare il linguaggio di un’altra esperta in materia intervistata dall’Aiart: la “adultizzazione precoce”.

Anna Oliverio Ferraris, docente universitaria, psicologa, psicoterapeuta, esperta dei problemi dell’età evolutiva, ha, infatti, messo in evidenza gli effetti deleteri di un’esposizione precoce e continuativa dei bambini al mezzo televisivo, soprattutto bambini piccolissimi che ancora non sono in grado di parlare e di esercitare il senso critico. Come esempio di “adultizzazione precoce” viene indicata la strumentalizzazione che dei bambini viene fatta nella pubblicità e in quei programmi canori in cui i piccoli vengono esibiti come piccole star per il divertimento degli adulti.

Questi programmi “adultizzando” i bambini operano una forma di violenza su di essi e possono creare forti squilibri nella loro crescita.

Oltre al fatto, spesso non tenuto in considerazione, che l’impiego dei bambini in TV può essere configu- rato come una sorta di “lavoro minorile” e, quindi, dovrebbe essere vietato dalla legge.

Tra le forme di adultizzazione precoce viene indicata anche “l’erotizzazione dei bambini”: ovvero quella forma di adultizzazione che opera la pubblicità televisiva inculcando nei bambini modelli di compor- tamento o atteggiamenti sessuali tipici degli adulti.

Le conseguenze di un’erotizzazione così precoce variano a seconda delle differenti fasce d’età, ovvero tra adolescenti e bambini, e vanno a intaccare la sfera cognitiva, emotiva, sociale.

Quanto appena affermato è la conseguenza di un investimento pubblico annuale per il marketing rivolto ai minori di dimensioni non paragonabili a nessun livello raggiunto in precedenza: i bambini (anche i baby spettatori di pochi mesi) sono pertanto diventati l’obiettivo principale di un grande business e con lo sviluppo della televisione digitale si avviano a esserlo sempre di più. Infine, un ulteriore approfondimento va speso su un altro fattore fondamentale: le normative esistenti in ambito televisivo e web non funzionano; sempli- cemente perché non vengono applicate, poiché la verifica è presidiata da portatori di interessi enormi.

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Le statistiche parlano chiaro e anche l’ultimo rapporto Aiart (“Il caso Italia”) lo dimostra: l’Italia è agli ultimi posti per quanto concerne la tutela degli utenti televisivi.

Il diritto dei bambini di sfruttare l’opportunità concessagli dalle nuove tecnologie di comunicazione per crescere e ampliare la propria conoscenza della realtà, come i diritti acquisiti nel corso del tempo e raccolti nella Convenzione del 1989 per i Diritti del Fanciullo, sembrano essere tenuti in scarsa conside- razione, dal momento che si tende il più delle volte a ignorare le responsabilità di tutti i media.

Di sicuro la televisione, se ha una responsabilità sociale, deve rispettare il parere dei telespettatori e garantire un’offerta televisiva, audiovisiva e multimediale di qualità, degna dell’identità valoriale e ideale del Paese, della sensibilità dei telespettatori e che non violi i sacrosanti diritti dei minori.

Maria Elisa Scarcello 

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Fonte: Notizie ProVita, dicembre 2015, pp. 16-18

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