20/02/2016

Utero in affitto: “la mamma è una sola”, anche in filosofia

Il tema dell’utero in affitto è molto dibattuto.

Non lascia tranquilli gli animi né a destra, né a sinistra. Ma, soprattutto, ha spinto tante donne – anche molte femministe, si veda da ultimo la Carta siglata a Parigi per la sua abolizione universale – a mobilitarsi contro questa pratica aberrante, che rende le persone schiave e oggetto di mercato.

Ammettere l’utero in affitto vuol dire far prevalere il desiderio di paternità o maternità (etero o gay, non cambia poco) sul diritto delle donne a non essere usate come forni e il diritto dei bambini a non essere resi prodotti commerciali.

All’interno di questo dibattito si inserisce, con un contributo assai interessante, anche la filosofa Elisa Grimi, intervistata su Il Corriere della Sera da Giusi Fasano.

Con il permesso della stessa, pubblichiamo integralmente l’articolo (scaricabile qui in pdf).

Dottoressa Elisa Grimi, lei si occupa di Filosofia morale, dirige la rivista internazionale Philosophical News e insegna all’Université de Neuchâtel. Come definirebbe il concetto di maternità surrogata?

«Da studiosa di filosofia, e dunque amante della verità, la definirei una “bestemmia”. Bestemmia, sì, e non credo in modo esagerato, perché va contro la vita e la vita la dà Dio. La vita non è un surrogato, la vita è una grazia. La vita è un dono e un donarsi: la maternità è un dono e un donarsi. Pertanto la maternità riguarda la vita e non va strumentalizzata».

mamma_Roma_convegno_ 21 ottobre_utero-in-affittoIn Italia è in corso da settimane una discussione fra chi è favorevole e chi no alla maternità surrogata. La sua posizione è molto chiara...

«Io mi schiero dalla parte della vita, cioè di chi è figlio. Perché, vede, qui oltre ad esserci confusione sul concetto di maternità, ve ne è ancora di più sul concetto di figlio e figlia. Non è possibile tracciare i confini di ciò che è umano, e dunque della sua dignità e diritti, senza includere il concetto di “figlio”. Qual è il miglior nutrimento per un neonato se non il latte di sua madre? Con questo non voglio però dire che il latte artificiale non possa essere la migliore soluzione, ma prima viene sempre l’origine della vita, senza la quale l’artificiale non trova neanche la sua definizione».

Chi è a favore fa esempi concreti: una donna che porta avanti la maternità per la sorella malata, per esempio... Cosa obiettare in casi del genere?

«Questo esempio sembra portare con sé una soluzione. Surrogato, è meglio di niente: forse. Il problema però è di tempo. Perché una gravidanza richiede tempo, e in quel tempo la vita si forma nella vita, in un tutt’uno, infinitamente misterioso, un tempo carico di attesa. Pertanto il presente non può essere salvato da una iniziativa umana, ma dal riconoscere a chi appartiene la vita. E il figlio ha una sola madre. Che questo bambino o bambina sia destinato a vivere un minuto, un mese, un anno, o cent’anni questo è il mistero del tempo. E il tempo non è un surrogato».

Chi è contrario sostiene che sia inaccettabile fare delle donne oggetti a disposizione del mercato soltanto perché la tecnica oggi lo rende possibile. Lei è d’accordo?

«Mi pare evidente che dalla maternità surrogata derivi una commercializzazione, cioè una strumentalizzazione della donna. E questo, certo, è inaccettabile».

Esiste un limite al di là del quale si deve accettare di non avere un figlio?

«I calcoli umani non sempre vanno in porto, per quanti ausili si possa disporre. Ci siamo abituati a una società in cui il concetto di sacrificio è visto come nemico dell’uomo, come quello di pazienza. Invece sacrificio e pazienza hanno fatto la nostra storia».

Quanto conta il pensiero cattolico nell’essere contrari alla maternità surrogata?

«Nulla. Il pensiero è pensiero umano. La fede può essere cattolica o differente. Ma qui si sta parlando di ciò che è umano».

Redazione

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