24/02/2016

Utero in affitto sì o no? Donne, fatevi sentire!

Diritto della donna o diritto negato al bambino? La questione dell’utero in affitto sembra non lasciare concordi le maggiori associazioni di donne lesbiche e di femministe in gran parte d’Europa.

In un documento su “alcuni temi eticamente sensibili” l’Associazione Famiglie Arcobaleno (FA) “difende e sostiene le scelte operate da lesbiche e gay per mettere al mondo dei figli.

Di fatto, quindi, l’Associazione Famiglie Arcobaleno sostiene la fecondazione artificiale (la cosiddetta PMA, che ha percentuali di successo ridicole e, nel caso dell’eterologa, condanna i figli a non sapere le proprie origini), la vetrificazione di ovociti (con tutti i rischi annessi e connessi), il congelamento di embrioni e ovuli, rifiuta l’espressione “compravendita” e ritiene che un ovocita sia pagato più di uno spermatozoo in virtù dell’investimento fisico del ‘dono’.  Ma di fatto , laddova si prevede la possibilità di “donare” ovociti o sperma e di “prestare” l’utero, è sempre previsto un congruo “rimborso spese”: non la chiamiamo compravendita? La chiamiamo “donazione a pagamento”!

mamma_festa della mamma_utero-in-affittoVi è poi un altro aspetto. Nel contratto tra genitori intenzionali e gestante non si lascia mai a quest’ultima la possibilità di un ripensamento dopo l’esperienza della gravidanza. Ciò è giusto, secondo le madri lesbiche di FA, perché esse sostengono che non è vero che la gravidanza rende la donna debole e vittima dei suoi ormoni al punto di cambiare idea su un atto voluto e introiettato. Come in ogni contratto c’è la possibilità di rompere i vincoli, ma non deve prevalere a priori la volontà della portatrice, altrimenti ciò equivarrebbe a dire che il legislatore e le parti coinvolte non abbiano ben chiaro chi sono i genitori del bambino. Sempre secondo la loro visione, il contratto deve vincolare la gestante affinché sappia che il bambino che porta in grembo non è e non sarà mai suo.

FA è consapevole che la maggior parte delle “donatrici” non “donerebbe” se non dietro compenso, ma questo vuol dire che le donne sono consapevoli della loro potenza (esercitata su bambini e in favore di adulti) e sanno che un simile investimento merita un compenso.

Benché l’Associazione prenda nota delle situazioni di sfruttamento collegate all’utero in affitto, non accetta l’equazione: scambio di denaro=sfruttamento, anche se qui la “merce” è un bambino. Nella loro visione, infatti, la GPA (come la chiama la neolingua) sarebbe un’esperienza di autocoscienza femminile che può aiutare padri gay o padri single ad avere figli, è uno strumento di liberazione dei maschi che abbatte stereotipi sociali.

Contro l’utero in affitto si sono invece schierate le organizzazioni femministe per i diritti umani alla Conferenza dell’Aia sul diritto internazionale privato (e anche in Italia). Per queste femministe l’utero in affitto è una pratica di sfruttamento alienante che viola i diritti e la dignità dell’uomo. Dietro di essa c’è un mercato mondiale in crescita esponenziale, nonostante sia “un’incarcerazione delle donne senza precedenti dall’abolizione della schiavitù”. Senza contare che tra madre e bambino avvengono scambi biologici (fetomaternal microchimerism) e affettivi durante tutta la gravidanza. Prova ne sia il fatto che il neonato si arrampica sul corpo della madre per cercarne il seno.

Si tratta di una schiavitù anche perché, una volta sottoscritto il contratto, i soggetti committenti hanno libero accesso alle cartelle cliniche della gestante e decidono su amniocentesi o aborto. Se gli acquirenti non vogliono piú il bambino (in caso di divorzio, di disabilità del nascituro o di parto plurigemellare) la madre surrogata diventa la sua unica responsabile, a meno che non lo affidi ai servizi sociali o non abortisca. Se è la gestante a cambiare idea la legge fa gli interessi dei committenti. L’utero in affitto è una reificazione del bambino regolata da un contratto: il bambino è una merce di scambio e la gestante viene pagata come un fornitore di servizi. Ciò rende le attese in termini di qualità sul bambino “prodotto” molto alte.

Qualsiasi testo che voglia regolamentare la surrogazione è in contrasto con il diritto internazionale, ad esempio con la Convenzione sulle adozioni internazionali. Infatti, sia nella surrogazione che nell’adozione c’è l’abbandono dei diritti genitoriali e il meccanismo legale della surrogazione si basa su quello dell’adozione. Secondo questa Convenzione il bambino va tutelato in quanto soggetto piú debole, ogni accordo precedente la nascita e ogni compenso sono proibiti. Secondo l’art. 1 della Convenzione sulla schiavitù basterebbe appropriarsi dell’uso o dei prodotti di una persona perché si possa parlare di schiavitù: i committenti acquisiscono un diritto sul corpo di una donna e i suoi prodotti. L’art. 7 stabilisce il diritto del bambino, nei limiti del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere cresciuto da loro. L’art. 35 vieta la vendita dei bambini per qualunque fine e in qualunque forma. In base al Protocollo delle Nazioni Unite contro la tratta di donne e bambini si stabilisce inoltre che la surrogazione è equiparabile alla tratta di persone.

Come abbiamo già approfonditoin Francia femministe e lesbiche hanno firmato la Carta per l’abolizione internazionale della maternità surrogata, trovando il consenso di politici e associazioni internazionali. 

Nel frattempo, l’utero in affitto continua ad essere praticato e aumentano i bambini che non sapranno mai chi li ha generati.

Elena Lauletta

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